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 2017  agosto 07 Lunedì calendario

Intervista ad Alberto Fortis: «La canzone ‘A voi romani’ è la mia Lettera scarlatta»

Dal suo esordio sono passati quasi quarant’anni, e nella sua vita Alberto Fortis ha viaggiato a lungo, vissuto negli Stati Uniti, lavorato con il produttore dei Beatles; ha partecipato a un reality, frequentato i nativi d’America, ballato la danza della pioggia, e ancora. Sono passati quasi quarant’anni e ancora oggi “A voi romani resta per me La lettera scarlatta. Non so quanto ci ho messo a spiegare il reale significato, e in parte non è servito”.
C’è una intervista del 1981 dove dice: “Macché Guerra Fredda, chi vincerà è la Cina”. Altro che romani…
Davvero? Allora vivevo a Los Angeles, e lì si sentiva la loro forza. E poi penso spesso alla frase di Bob Dylan: “Gli artisti non inventano nulla, hanno antenne per captare delle cose”.
Lei a Los Angeles…
Mi ricordo la prima volta, era il 1980: una sera mi imbatto in un concerto che mi cambia la vita e la carriera.
Come nei film…
Era in un piccolo club, The Baked Potato (Patata stufata), con un palco quasi inesistente, buio. Mi siedo. Poco dopo inizio a sentire qualcosa di meraviglioso. Quindi ascolto, allibito, la bravura dei musicisti, il top dell’epoca, compreso un certo Al Jarreau…
Non uno qualunque.
Appunto. Ma io ero avvolto da un’incoscienza quasi fantozziana, così sono andato da uno di loro, e con un inglese terribile mi sono lanciato: “Mi piacerebbe realizzare un album con voi”.
Risultato?
Un album registrato in una settimana, quasi live e con sonorità gospel forse mai sentite in Italia. Mi ricordo ancora Zucchero, anche lui nella mia stessa casa discografica, e ancora sconosciuto, che mi proponeva le sue canzoni.
Lei nasce come batterista.
Per questo amo la ritmica.
Come si reputa?
Bravino. Non sono all’altezza dei professionista, ma non sono male, resta quanto ho imparato da ragazzo.
Se il chitarrista da spiaggia è celebre per suonare mentre gli amici rimorchiano, figuriamoci i batteristi…
Peggio ancora è la vita del bassista, con la gente che non capisce l’importanza dello strumento.
Il batterista è più nascosto.
Vero, e il mio escamotage era l’assolo di batteria, nel repertorio ne avevo uno dei Chicago, durava 20 minuti.
Alla faccia dell’assolo.
Ero fedele all’originale.
Lei è stato studente di medicina.
Ho dato anche Anatomia e Patologia. Non era la mia strada, ma dovevo provarci: vengo da una famiglia con una grande tradizione medica.
Generazioni.
Un cugino di mia mamma è un luminare, il Niguarda gli ha dedicato un’ala dell’ospedale, sono suoi i primi trapianti di cuore.
Cosa le è rimasto dei suoi studi?
L’attenzione per le questioni sociali, il vivere questo mestiere con una certa serietà. Anche per questo guardo spesso all’esperienza umana di Bono Vox (il cantante degli U2, ndr).
Bono ha anche abbracciato Bush…
È un po’ un rappresentante della terza via. Ce ne fossero di persone come lui.
Una delle sue cause è quella dei nativi d’America: con loro ha partecipato alla danza della pioggia…
È accaduto a Gallup in New Mexico. In maniera inspiegabile, nell’arco di un’ora è iniziato realmente a piovere.
Per alcuni sarà stato un semplice caso…
Questa vicenda la racconto e basta, evito di commentarla. Però ho vissuto altre esperienze molto forti, alcune oggi le hanno proibite, come quella per poi diventare un guerriero.
Qual è il rituale?
Si trafiggono con l’osso di bisonte o di aquila, fino a lacerarsi i muscoli.
Torniamo alla musica: non crede di aver sperimentato troppo?
È una questione di business, di come funziona. Di solito se becchi l’album giusto, la discografia predilige delle copie carbone. Questa attitudine la detesto e ho cambiato da subito il tiro. Però ho collaborato con lo storico produttore dei Beatles.
La pecca maggiore della discografia?
Si gira molto con un’analisi generazionale basata sui numeri, mentre non si lascia la libertà di esprimersi secondo la propria tendenza.
Come ha conciliato la sua arte con la partecipazione a Music Farm?
È stata una scommessa balzana, non la rifarei.
Senza se e senza ma.
In quel periodo stavo realizzando un album con Fio Zanotti e all’improvviso è arrivata una proposta a tutti e due, con ruoli diversi, e per far parte del programma. Noi subito “no”, “no”, “no”… Poi sono giunte le solite pressioni, e la sfida di poter portare i miei contenuti.
E ha accettato…
E non pensavo sarebbe stata un’esperienza così umana ed emotiva.
Ha appena detto che non la rifarebbe…
Credevo ci fosse molto di preparato e di finto, mentre era tutto vero. Per fortuna con noi c’era Franco Califano, reale poeta maledetto, ci ha dato una nota di sopravvivenza dentro una gabbia di pazzi.
Califano il più sano.
Una sera ha collassato, stava proprio male, e noi nel confessionale a implorare la produzione di togliergli l’alcool. Questi ci hanno risposto che era grande, vaccinato e padrone della sua vita.
Era perfetto per l’audience.
Esatto. Conta solo quello.
Finito il programma, lei ha dichiarato: “Ci si assuefà a tutto”.
Dopo due mesi e mezzo là dentro, ho capito perché il carcerato, quando esce, non sa dove andare.
Non ci si assuefà all’ostracismo dopo A voi romani?
Già, quella canzone è stata proprio un grande problema.
“Vi odio tutti quanti”, cantava…
Era riferito alla politica, alle case di produzione, mica ai cittadini!
La difende…
Lì ho preso una lezione per la mia ingenuità. Allora pensavo: ora la canto e diranno, “finalmente qualcuno dice la verità”. Lapidato. È stato il primo pugno in faccia ricevuto.
Il suo mito?
John Lennon. Il maestro assoluto, un’espressionista della musica.
È anti o pro Yoko Ono?
L’ho conosciuta, e non è molto simpatica, ma nonostante sia stata la concausa dello smembramento dei Beatles, probabilmente loro avevano già raggiunto il culmine.
Quindi?
Per l’aspetto creativo del dopo Beatles, Lennon lo deve molto a lei. Ed è un fatto.
Il suo prossimo album?
Non so quando uscirà, ma ci sto lavorando e mi piace tantissimo. Comunque presto.
Magari a “Settembre”, come il titolo di una delle sue più belle canzoni: “Ahi settembre mi dirai quanti amori porterai, le vendemmie che farò, ahi settembre tornerò”.