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 2017  agosto 07 Lunedì calendario

L’autoriforma le ha divise ma così si sono salvate le casse rurali

L’ infinita galassia delle banche cooperative si scomporrà, per effetto della riforma (legge 49 dell’8 aprile del 2016), in tre grandi sistemi del credito mutualistico. La Cassa Centrale Raiffeisen in Alto Adige come gruppo provinciale. E, sul piano nazionale, la Cassa Centrale Banca di Trento e Iccrea cui faranno capo, non sappiamo in quale ordine, tutte le altre Bcc.
Le cooperative manterranno la maggioranza del capitale della società al vertice. Il loro numero è sceso fortemente. Erano circa 500 a fine anni ’90, sono poco più di 300 oggi. Secondo i dati di Federcasse, gli sportelli delle banche di credito cooperativo e delle casse rurali erano 4.295 (al 31 marzo di quest’anno) con una presenza diretta in 2.659 comuni e 102 province, oltre un milione e 255 mila soci. Una raccolta di 155 miliardi, soddisfacenti coefficienti patrimoniali complessivi.
«Le nostre sono le aziende bancarie a maggior controllo sociale – spiega Augusto Dell’Erba, presidente di Federcasse – se qualcosa non va il tuo socio te lo dice in faccia, perché lo incontri sotto casa». Certo, questa vicinanza al territorio è un valore nella stragrande maggioranza dei casi, ma anche un rischio. In non poche situazioni gli istituti sono stati «catturati» dai poteri locali e sono rimasti vittime delle affiliazioni amicali, quando non della criminalità.
Lo spirito della riforma è quello di attribuire alle capogruppo una funzione di controllo sull’attività del credito e sulla qualità degli amministratori, spezzando, si spera, anche il fenomeno delle presidenze sostanzialmente a vita. «Una volta – spiega ancora Dell’Erba – bastava aprire uno sportello ed era fatta. Oggi ci siamo guadagnati la nostra autonomia anche con una serie di fondi che garantiscono depositanti e obbligazionisti, di fatto anche subordinati. Non abbiamo chiesto soldi allo Stato, non pesiamo sui contribuenti. La bufera l’abbiamo affrontata e risolta da soli. Il primo burden sharing l’abbiamo fatto noi alla Banca Romagna Cooperativa. Certo ci sono state delle criticità...». E non poche.
Deterioramenti La Banca d’Italia ha autorizzato dal 2013 a oggi 76 operazioni di fusione che hanno fatto uscire dal mercato 86 Bcc, 48 soltanto negli ultimi due anni. In un rapporto riservato della Vigilanza, si legge che sono state 55, nell’ultimo quinquennio, le aggregazioni rese necessarie dal «deterioramento del quadro tecnico aziendale». In 31 casi perché le strategie di risanamento non erano credibili. In 20 situazioni le concentrazioni sono avvenute con procedure d’urgenza per «insufficiente professionalità e/o autoreferenzialità degli esponenti di vertice». Oppure per «disfunzioni nella governance aziendale». E ancora: «frequente esposizione ai conflitti d’interesse e inosservanza della disciplina in materia di trasparenza».
In sole altre 4 situazioni le aggregazioni sono state il risultato della chiusura di procedure di amministrazione straordinaria. Le irregolarità comprendevano il rischio di riciclaggio e «condotte incaute o marcatamente anomale» come «l’indiscriminato sostegno concesso a controparti anche di rilevanti dimensioni in stato di difficoltà o addirittura insolventi». E, particolare assai significativo, la concessione di crediti anche in «presenza di valutazioni negative delle funzioni tecniche».
Merito di credito In altre parole è accaduto che non solo si dessero dei soldi a chi non li meritava ma addirittura si accettassero «richieste di restrizione ipotecaria, svincolo di pegni e liberazione di garanzie prestate a presidio di posizioni connotate da segnali di particolare anomalia». La Bcc di Paceco (Tp) è stata sciolta per infiltrazioni mafiose; quella di Cittanova (Rc) per i legami con la ‘ndrangheta. Le curiosità, se vogliamo chiamarle così, si sprecano. Crediveneto è stata liquidata nel 2016. Si è scoperto che i dirigenti avevano una tutela speciale anche in caso di licenziamento e uno di loro, coinvolto in un procedimento penale, aveva ricevuto un incentivo all’uscita di mezzo milione di euro. La vita residua degli immobili era stata portata a 100 anni per diluire gli ammortamenti.
La Banca Romagna e Macerone era molto generosa con i dipendenti e schierava addirittura tre vice direttori generali. La Banca Padovana, liquidata nel 2015, era molto attenta a non dispiacere ai debitori che intanto riducevano i beni aggredibili. Non raramente, in diversi casi, i periti cui spettava la valutazione degli immobili sono risultati in affari con dipendenti delle banche dalle quali ricevevano credito. Dell’Erba è presidente della Cassa rurale e artigiana di Castellana Grotte (Ba), 13 sportelli. «E io non ne ho voluti di più, l’espansione delle sedi è stata in qualche caso esagerata. Il sistema è sano. Bisognava però uscire in qualche modo dalla logica della bancarella, come dicono dalle mie parti o dalla banchina, come si dice in Toscana». Banchina come il Credito cooperativo fiorentino per il crac del quale Denis Verdini è stato condannato a nove anni di reclusione.
Alessandro Azzi, presidente della Bcc del Garda, della federazione lombarda e predecessore di Dell’Erba (dimessosi anche perché in disaccordo sulla scomposizione del sistema in diverse entità) ammette che la regola con cui si vieta il cumulo con le cariche elettive pubbliche sia stata tardiva (nel 2011, dopo il caso Verdini). E qualche volta non applicata, in una malintesa affermazione dell’autonomia territoriale. Ma si dice soddisfatto di aver sventato una manovra che avrebbe snaturato il credito cooperativo. «Avremmo fatto la fine delle Popolari e saremmo stati troppo esposti al mercato, terra di conquista».
Minacce vere e presunte Il mercato è generalmente visto, nel mondo delle Bcc, come una minaccia e ciò giustifica spesso chiusure a riccio e trasparenze negate. Il voto capitario è a volte lo scudo con il quale si proteggono relazioni e amicizie, come è accaduto per Chianti Banca con l’estromissione del presidente. Lorenzo Bini Smaghi si era prodigato per ammodernarla, cambiandone la governance, al fine di evitare – come è successo – che l’istituto concedesse credito ai soci anche contro il parere degli organi deputati al controllo dei rischi.
Ma come possono stare insieme, nella grande nebulosa delle cooperative, pratiche così diverse? Il rigore e il senso di responsabilità di tante gestioni locali di assoluto valore e condotte così anomale e visibili anche prima dell’intervento della Vigilanza o della magistratura. «Certi personaggi nelle assemblee e negli organismi elettivi qualche disagio ce lo procuravano – ammette Azzi – abbiamo tentato di emarginarli ma non potevamo espellerli. Non avevamo strumenti sanzionatori».
Altro problema è il ricambio della dirigenza. Troppo lento. Ma anche qui si obietta che, in piccole banche cooperative, emblema di territori minuscoli, non è semplice. Per mancanza di alternative o per la granitica resistenza dei banchieri del territorio, salutati e riveriti, all’angolo di ogni strada?
Il gruppo bancario cooperativo voluto dalla legge del 2016 è un modello unico. Non esiste negli altri sistemi bancari europei. Per il mondo della cooperazione a mutualità prevalente è il sigillo a una orgogliosa diversità. I meriti del sistema sono sotto gli occhi di tutti, specialmente se si guarda al Trentino-Alto Adige ma non solo. L’interrogativo di fondo, che non riguarda beninteso solo le Bcc, è come fare che il vincolo del territorio, le necessità dei soci non prevalgano sul merito del credito e la valutazione tecnica dei rischi. Negare, al di fuori delle logiche del mercato il credito ai soci che lo richiedono pur non avendone le qualità – magari già multati dalla Banca d’Italia o coinvolti in inchieste giudiziarie – è certamente faticoso, impopolare. Si rischia di non essere salutati sotto casa o in ufficio, ma fa crescere una comunità locale e nazionale. I favori agli amici, al contrario, la sviliscono, la intossicano lentamente. E quando ce ne si accorge i costi sono altissimi, soprattutto per i tanti soci e clienti che hanno riposto nel modello del credito cooperativo la loro fiducia e la ragione profonda dell’appartenenza a una società locale.