Corriere della Sera, 6 agosto 2017
Il sito della Morte Nera che promette la vendita delle schiave del sesso
Droga, armi, denaro contraffatto. E ragazze in vendita al miglior offerente? Con il rapimento della 20enne modella britannica, il sequestratore polacco Lukasz Pawel Herba ha riscoperchiato il vaso di Pandora del traffico di umani nell’Internet sommersa. Quella non accessibile tramite la barra di Google – che pesca lo zero virgola delle informazioni effettivamente presenti online – e raggiungibile solo con programmi specifici come Tor o Freenet. Il cosiddetto dark web, che promette l’anonimato (o meglio, di mascherare le tracce) a chi vuole utilizzarlo per fini illeciti. Il materiale trovato nel computer portatile e nelle 14 caselle di posta elettronica criptata (come Proton, ad esempio) di Herba collega il rapitore 30enne residente in Gran Bretagna a Black Death, sito e gruppo basato nell’Europa dell’Est.
Il portale si è manifestato la prima volta nel 2010 e, secondo un rapporto Europol del 2016, al suo interno vengono (anche) messe in vendita ragazze di varie nazionalità, di cui è garantita l’eventuale verginità e che possono essere spedite in tutto il mondo.
Nel 2013 la testata specializzata Motherboard ha tentato un’incursione e ha provato a partecipare all’asta da 150 mila dollari di partenza per aggiudicarsi Nicole, ritratta seminuda e con le mani legate. Le foto e l’offerta stessa si sono però rivelate un falso. «Scam» è il termine tecnico, come spiega al Corriere l’esperto di sicurezza informatica Matteo Flora: una truffa al solo fine di estorcere denaro.
Un anno prima è stata invece l’autorevole rivista Scientific American a confermare il legame fra un caso di cronaca – la caduta di una 28enne dal sesto piano di un palazzo di New York per sfuggire ai suoi aguzzini – e le indagini in Rete sul traffico di essere umani. Per ricostruire il caso di rapimento e abusi sessuali è stato utilizzato il programma Memex dell’agenzia per i progetti di ricerca della difesa americana (Darpa).
«Memex riesce a individuare le tracce d’accesso a siti illegali e ha reso il “dark web” più accessibile alle autorità», spiega il consulente in informatica forense Riccardo Meggiato. E sottolinea come i malintenzionati, siano essi coinvolti in compravendita di donne o di organi o di materiale pedopornografico, tendano quindi a preferire contatti uno a uno al dark web: «Creano uno spazio ad hoc dedicato agli scambi. Lo ricavano nei computer di ignari utenti che vengono infettati e all’interno dei quali vengono creati spazi nascosti poi collegati a quelli analoghi di altri pc. Il tutto viene crittografato a più livelli e reso accessibile solo a chi è in possesso di nome utente e password specifiche».
Se, anche in questo caso, le autorità dovessero scovare questa sorta di disco rigido virtuale starà al malcapitato dimostrare di non aver nulla a che fare con quanto si trova nel suo computer.