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 2017  agosto 07 Lunedì calendario

È in tre fasce il nuovo assetto del Medioriente

L’assetto geopolitico del Medio Oriente, definito nel 1916 dal famoso Accordo Sykes-Picot, sta venendo meno. Centrato su un matrimonio di interessi con le monarchie arabe sunnite ed arbitrarie e sciagurate suddivisioni territoriali stile divide et impera, a distanza di un secolo il caos magmatico innescato dal revanscismo sciita della Rivoluzione iraniana del 1979 e le «involontarie» conseguenze dei conflitti determinati dall’11 settembre 2001 stanno imponendo nuovi equilibri, con una differenza: il nuovo assetto della regione sembra infischiarsene degli interessi delle grandi potenze che negli ultimi cento anni ne hanno condizionato i destini.
L’ampio territorio che si estende dalle coste del Mediterraneo fino ai confini orientali dell’Iran può essere rappresentato con tre strisce orizzontali che sottintendono ad aree di influenza geopolitica e confessionale abbastanza definite.
La prima è la striscia settentrionale di influenza turca che punta ad un revival neo-ottomano ispirato dalla Fratellanza Musulmana anche nelle regioni settentrionali della Siria e dell’Iraq.
La seconda striscia è quella centrale di influenza persiana e sciita basata sul cosiddetto Asse della Resistenza: Iran, Iraq, Siria e Hezbollah.
L’ultima, quella meridionale, è la striscia sunnita che include Egitto, Giordania, Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo.
Se una volta in Medio Oriente le linee di faglia erano verticali, conflitto arabo-israeliano e Iraq-Iran, ora sono orizzontali e si articolano nelle tensioni politiche, etniche e settarie che si consumano lungo queste tre strisce territoriali che si sovrappongono e spesso si intersecano.
Due variabili sono suscettibili di influenzare l’assetto geopolitico sopra descritto senza tuttavia comprometterlo: le aspirazioni indipendentiste curde in Iran, Iraq, Siria e Turchia, che potrebbero determinare una nuova mini-striscia tra quella centrale è quella settentrionale, e le rivendicazioni delle minoranze sciite che vivono in Arabia Saudita, Bahrein e Kuwait che inquietano la già fragile striscia sunnita, circostanza confermata anche dal duro confronto in corso con il Qatar.
La novità dirompente è la striscia centrale sciita che sta alterando gli equilibri preoccupando le cancellerie occidentali, nonché turchi, arabi sunniti e israeliani, determinando anche un inedito e fragile allineamento di questi ultimi con le spaventate monarchie sunnite. Nonostante le numerose preoccupazioni verso le ambizioni egemoniche iraniane, paradossalmente è proprio nell’area soggetta all’influenza di Teheran che le diverse minoranze etnico-religiose della regione sembrerebbero sentirsi più garantite; come confermerebbero i cristiani in Siria ed Iraq e gli yazidi nella piana di Niniveh e a Sinjar, per non parlare degli sfollati siriani sunniti che rientrano nelle aree sotto il controllo di Damasco.
Gli sciiti rappresentano solo il 10% dell’Islam ma nella striscia centrale il rapporto numerico con i sunniti giunge a percentuali sostanzialmente paritarie. È un dato difficilmente modificabile dopo la vittoria di Assad in Siria, il fallimento statuale di Isis e l’affermazione delle milizie popolari sciite in Iraq, salvo l’avvio di un nuovo conflitto – dall’esito assai incerto visti i precedenti – verso il quale l’America di Trump, benché sollecitata dai suoi alleati, appare riluttante.
Un solo dato politico appare per il momento certo: soltanto la Russia di Putin è sembrata finora a proprio agio con questo nuovo assetto geopolitico del Medio Oriente.
*Ambasciatore d’Italia in Iraq (già Inviato Speciale per il Processo di Pace in Medio Oriente e la Crisi in Siria)