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 2017  agosto 07 Lunedì calendario

Escalation di violenza nella Repubblica del Congo. L’Unhcr: «Pulizia etnica»

Uomini e donne bruciati vivi nei loro villaggi, bambini mutilati e costretti a bere il sangue dei propri genitori morti, stupri di massa. Una violenza inaudita sta sconvolgendo la regione del Grand Kasai, il cuore della Repubblica Democratica del Congo.
Negli ultimi tre mesi la situazione è precipitata in una tragica escalation di violenze che fanno parlare di «pulizia etnica» in atto sia ad opera dei soldati governativi sia dei miliziani ribelli e di «crimini contro l’umanità». La denuncia è arrivata dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Unhcr).
Un conflitto iniziato in sordina nell’agosto del 2016 tra le popolazioni tribali locali e il governo centrale di Kinshasa, considerato dai primi illegittimo, dato che il mandato del presidente Joseph Kabila è scaduto nel dicembre 2016. Piccole schermaglie trasformatesi in brutale caccia all’uomo dopo l’uccisione di Jean-Pierre Bandi, leader tribale di una delle provincie del Kasai, ad opera dell’esercito regolare (Fardc). Secondo l’Onu, dallo scorso agosto, 1,4 milioni di persone sono state costrette a lasciare i propri villaggi a causa delle violenze, circa 850 mila sarebbero bambini (stime Unicef). Una fuga verso Sud, principalmente in Angola dove sono arrivati già 40 mila sfollati, nonostante la ritrosia all’accoglienza da parte di Luanda, capitale dell’Angola, da sempre coinvolta nel complesso scacchiere congolese e nemica di Kinshasa. Secondo la Chiesa cattolica, intermediario cruciale nel dialogo di pace tra il presidente Kabila e i suoi oppositori, a fine giugno le vittime erano 3383. Stime inferiori, secondo l’Agenzia Onu per i diritti umani, in grado di registrare 465 vittime in totale, di cui 428 persone uccise dall’esercito 37 dai miliziani.
Numeri comunque elevati e ancora sommari dato che quotidianamente vengono scoperte fosse comuni. Già 80 quelle documentate dall’Onu, che ha accusato pubblicamente l’esercito regolare di Kinshasa di essere il principale responsabile. Uno scontro frontale accentuatosi dopo che due funzionari delle Nazioni Unite sono stati ritrovati morti. Secondo una prima indagine, sarebbero stati uccisi dai militari proprio mentre stavano documentando le fosse comuni realizzate dall’esercito regolare. Che la situazione sia andata ben oltre l’immaginario lo si capisce anche dalla denuncia arrivata dalla sede di Ginevra dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani (Unhcr), che ha lanciato un monito al presidente Joseph Kabila affinché «intervenga immediatamente per impedire l’espandersi delle violenze» e «per rispettare l’obbligo di proteggere tutta la popolazione, qualunque sia l’etnia di appartenenza, nella regione del Kasai».
Un conflitto che si espande a macchia d’olio e che ormai si è diffuso su un’area geografica grande quanto la Germania e che ha contribuito a regalare alla Repubblica Democratica del Congo il triste primato di Stato con il più alto numero di sfollati interni in Africa. Secondo il Dipartimento affari umanitari dell’Onu (Ocha), alla fine di giugno su circa 80 milioni di congolesi, 3,8 sono sfollati interni. Un anno fa erano 1,7 milioni. Numeri più che raddoppiati in soli 12 mesi a seguito della crisi del Kasai.
Così una delle poche regioni del Congo non ancora toccata dalla violenza, al contrario del Nord-Est del Paese dove in 20 anni di guerra civile si stima che siano morte 5,5 milioni di persone, si è trasformata «da zona pacifica ad epicentro di una delle più gravi crisi umanitarie al mondo» come ha dichiarato Medici senza frontiere. Con l’escalation delle violenze la comunità internazionale sembra iniziare a vagliare le possibili soluzioni, a cominciare dalla necessità immediata di risolvere il nodo della guida politica del Paese. Lo scorso dicembre, infatti, il presidente Joseph Kabila che ha già completato due mandati presidenziali e non è più eleggibile secondo la Costituzione, si era rifiutato di indire le elezioni, spiegando che i fragili equilibri del Paese non avrebbero permesso uno svolgimento pacifico del voto. Dopo una lunga trattativa si era arrivati all’accordo per cui le presidenziali si sarebbero svolte a dicembre 2017, ma nei mesi scorsi, Kabila, ha stracciato l’accordo ed è tornato sui suoi passi.
La milizia armata del Kasai, chiamata Kamwina Nsapu, in onore del capo tribale ammazzato dall’esercito regolare, ha iniziato ad arruolare bambini soldato per contrastare l’ingente spiegamento di forze disposto da Kinshasa, accusata dall’Onu di sparare anche a civili non armati. Sempre più frequenti sono gli attacchi da parte delle milizie irregolari alle istituzioni pubbliche e l’uccisione sommaria di funzionari statali. Inoltre con il passare delle settimane lo scontro sta dilagando nella sfera etnica, con la popolazione Luba e Lulua presa in mezzo ad un fuoco incrociato che potrebbe dare il definitivo avvio alla terza guerra civile in 20 anni.