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 1977  dicembre 16 Venerdì calendario

È ora che cada ogni pregiudiziale

Fin dal 21 giugno 1976, di fronte ai risultati elettorali che davano ai comunisti e ai socialisti il 45 per cento dei voti contro il 39 della Dc questo giornale sostenne la necessità che la sinistra ponesse con fermezza il problema della propria partecipazione al governo.
Non si trattava soltanto di rapporti di forza numerici, ma di qualche cosa di assai più importante: comunisti e socialisti erano i partiti più organicamente rappresentativi di quei ceti sociali senza il consenso e l’attiva collaborazione dei quali sarebbe stato impossibile portare avanti una politica di pace sociale, di austerità economica, di ricostruzione materiale e soprattutto morale d’un paese ridotto in pezzi da colpe ed errori che ci coinvolgono tutti, anche se non egualmente pesanti ne sono le responsabilità.
Nei lunghi mesi che seguirono, giudicammo un grave errore quello del gruppo dirigente del Pci d’aver consentito allo stato maggiore democristiano di sfilacciare con la consumata tecnica dei «piccoli passi» una collaborazione tanto più efficace quanto più fornita in modo chiaro e politicamente «apprezzabile». Da Botteghe Oscure obiettarono che la situazione era così seria da costringere le due maggiori forze politiche – la Dc e il Pci – a marciare comunque di conserva, essendo impossibile che una delle due potesse riprendere la propria libertà e passare all’opposizione.
L’obiezione, lo riconoscemmo subito, aveva un fondamento e forniva comunque una prova importante del senso di responsabilità del Pci. Ma poiché la tentazione della Dc di passare all’opposizione era – come ognun sa – del tutto inesistente, la strategia «responsabile» del Pci non aveva oggettivamente altro risultato che di mettere quel partito in una condizione difficilissima, con scarso potere negoziale e – quel ch’è peggio – col rischio crescente di veder diminuire la propria credibilità politica e sociale.
Negli ultimi giorni, all’interno del gruppo dirigente comunista è maturata la svolta. Le ragioni sono molteplici, ma si possono riassumere in una: continuare a fare il portatore d’acqua e seguire passivamente i tempi di Moro era diventato impossibile; tra il rischio di tornare all’opposizione e quello di logorare il proprio rapporto con le masse popolari, la scelta era obbligata.
Berlinguer continua a sostenere che l’ipotesi d’un ritorno all’opposizione non si pone «poiché la situazione del paese richiede la presenza dei comunisti nel governo». Per quel che può valere l’opinione d’un libero giornale che col Pci ha frequenti motivi di contrasto ideologico e politico, noi riteniamo che l’affermazione del segretario comunista sia giusta: il tempo è maturo per vedere i comunisti al governo insieme alle altre forze democratiche italiane. L’ipotesi – intorno alla quale ancora s’affannano alcuni maggiorenti della Dc – d’una maggioranza organica comprendente i comunisti, ma d’un governo senza di loro, è ormai bruciata dal procedere dei fatti e dalla gravità della disgregazione sociale ed economica.
Nessuno capirebbe la differenza tra l’accordo a sei e la maggioranza organica: per la gente comune queste distinzioni sono incomprensibili.
Non ci sono dunque altri sbocchi all’infuori di un governo rappresentativo di tutte le principali forze politiche, che accolga possibilmente anche tecnici di sicura capacità.
Con molta lealtà l’ambasciatore americano Richard Gardner fa sapere in queste ore che il suo paese è contrario ad una soluzione del genere, ma che la ritiene un affare di esclusiva competenza degli italiani, per impedire il quale gli Stati Uniti non metteranno in moto nessuno di quei «mezzi» che usarono in tempi passati. Queste dichiarazioni sono importanti. Nessuno può alla leggera sottovalutare l’atteggiamento di un grande paese alleato, ma nessuno può pretendere che l’opinione del Dipartimento di Stato faccia la legge a Montecitorio e a palazzo Chigi.
Altri sono i modi coi quali l’Italia può e deve dimostrare la sua ferma determinazione di non venir meno agli obblighi dell’alleanza: la fermezza dei propositi volti a riequilibrare la finanza pubblica, un concetto più alto della moralità, una diversa efficienza della macchina amministrativa, una più ordinata vita civile, una più produttiva distribuzione delle risorse. Non è sbarrando la strada a forze politiche che rappresentano la metà del paese che si può sperare di raggiungere obbiettivi così difficili, dai quali dipende la nostra sorte per molti anni a venire.