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 2017  luglio 21 Venerdì calendario

La cittadinanza è un business per ricchi

Nel 2010 Gary Becker, docente all’università di Chicago e Nobel per l’economia, avanzò una proposta per risolvere il problema dell’immigrazione illegale: vendere la cittadinanza americana per 50 mila dollari. A suo dire, il costo avrebbe garantito l’ingresso nel Paese a persone giovani, ambiziose e determinate, le sole in grado di racimolare la cifra prima di aver varcato il confine, o fiduciose di poterla restituire dopo averlo fatto. Becker fu irriso e la sua idea liquidata. Oggi, infatti, per ottenere la green card servono 500 mila dollari. E come gb Usa si comportano i numerosi altri Paesi che hanno varato i cosiddetti programmi di “cittadinanza per investimento”, che neppure prescrivono che il richiedente visiti mai lasua nuova Patria.

Simili iniziative rivelano la totale arbitrarietà del concetto di appartenenza a una nazione: «La storia della cittadinanza nel secolo XXI è l’ennesimo esempio della profonda diseguaglianza tra l’Occidente e il Sud del mondo, tra i ricchi e i poveri», scrive la giornalista Atossa Araxia Abrahamian nel saggio Cittadinanza in vendita ( La Nuova Frontiera). «Non tutti i passaporti sono uguali, non tutte le nazionalità parimenti desiderabili. E gli stessi Paesi che respingono la povera gente arrivata via mare stendono tappeti rossi per i ricchi investitori che possono pagarsi i documenti».
Quanto costa un cittadino
Le cifre dell’operazione sono variabili: l’opzione più a buon mercato riguarda la Repubblica Dominicana, dove si diventa cittadini con circa 100 mila euro, poca burocrazia e, non di rado, ancor meno controlli. Basti pensare che un passaporto diplomatico era stato concesso al catanese Francesco Corallo, meglio noto come “il Re delle slot”, arrestato per vari reati tra cui il riciclaggio. Per 250 mila dollari invece si diventa cittadini delle isole caraibiche di St. Lucia, di Antigua, Grenada (che ha circa 100 mila abitanti sul suo territorio e 30 mila domiciliati in Usa) o della federazione di St. Kitts e Nevis. I documenti di quest’ultima, grazie ad accordi bilaterali, aprono senza visto le porte di 131 Nazioni, Stati Ue compresi (il top di gamma, la Germania, arriva a 153: Deutschlanduberalles).
La peculiarità ha enormemente aiutato la bilancia commerciale di St. Kitts, che dai passaporti ha raccolto introiti crescenti, dallì% del Pii nel 2006 al 37% nel 2015, un’idea che ha trovato entusiasti adepti anche in Europa, dove un solo documento dischiude tutta l’area Schengen.
Tra i casi più controversi ce quello di Malta, che dal 2011 ospita l’Agenzia europea per l’asilo, per quanto non vi approdi più un barcone da anni: è l’unico Paese Ue a non aver ratificato le regole del “porto sicuro”, rifiutando di prestare i propri scali per soccorrere le imbarcazioni in difficoltà. In compenso, dal 2014 Malta concede in pochi mesi la cittadinanza a chi contribuisce a un fondo per lo sviluppo nazionale con 650 mila euro e compra bond per altri 150 mila, grazie al quale nelle casse dell’isola finora sono piovuti 200 milioni di euro. A Cipro si sono spinti oltre. Dopo la crisi del 2013, il salvataggio da parte dell’Ue e del Fondo monetario internazionale e il bail out che ha penalizzato i conti locali di facoltosi russi, le autorità dell’isola, ha raccontato Bloomberg Businessweek, non potendo più riciclare i loro capitali, hanno deciso di «riciclare direttamente i russi».
Riprendendo una legge del 2007, Cipro concede in meno di 3 mesi la cittadinanza agli stranieri che «investano 2 milioni di euro in proprietà locali o 2,5 milioni in titoli di Stato o in obbligazioni aziendali». Finora la decisione ha fruttato investimenti per 4 miliardi di euro, pari al 25% del Pii, e nel 2016 l’economia locale è eresciutadel 2,5%, a dispetto della risoluzione promossa dal Parlamento Europeo nello stesso 2014 che dichiarava: «La cittadinanza europea non può essere una merce».
Oltre che una questione di principio, per l’Ue è anche un problema di sicurezza, non solo rispetto alla minaccia terroristica. Tramite Cipro «ogni gangster o oligarca ora può entrare nell’Ue», ha riassunto l’europarlamentare rumeno Sebastian Bodu.
Il business arriva in Italia
E il meccanismo non funziona solo qui: nel 2013 il Canada e di ha reintrodotto il visto per i cit: un tadini di St. Kitts, avendo sconon perto che erano tali alcuni affaccia risti intenzionati ad aggirare prò l’embargo contro l’Iran. Nelora l’aprile di quest’anno l’Fbi ha iasstroncato un traffico da 50 milioni di dollari destinato ad applicare a cinesi con precedenti penali il programma EB-5 (quello, appunto, che concede la citata green card a chi investe 500 mila dollari e crea almeno 10 posti di lavoro in zone depresse). Ma, per tanti governi che rafforzano i controlli su chi vuole oltrepassare le loro frontiere, altrettanti soggiacciono alla prospettiva di migliorare il proprio bilancio praticamente a costo zero.
Nel gennaio 2017 l’Italia ha introdotto nel Testo Unico dell’Immigrazione farticolo 26-bis, che prevede per investitori stranieri «la concessione di un permesso di soggiorno biennale, rinnovabile altri 3, a cittadini stranieri che intendano effettuare in Italia un investimento di almeno 2 milioni di euro in titoli emessi dal Governo (da mantenere peralmeno2 anni), o di almeno 1 milione di euro in azioni di una società costituita e operante in Italia, o di almeno 50 mila euro in azioni di start-up innovative iscritte nella sezione speciale del registro delle imprese o una donazione a carattere filantropico di almeno 1 milione di euro a sostegno di un progetto di pubblico interesse, nei settori della cultura, istruzione, gestione deH’immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici». Il che, spiegano apagina99 quelli della Henley & Partners, tra le principali società di “residence & citizenship planning”, ovvero acquisto di seconde nazionalità, «in effetti apre la strada allo sviluppo di un programma di residenza (primo passo per quello di cittadinanza) in cambio di investimenti che Henley accoglie con favore».
Gli affari di Kalin
Sarebbe strano il contrario, visto che la società è diretta dall’uomo che dal nulla ha creato il business dei passaporti: l’avvocato svizzero Christian Kalin. È stato lui che nel 2006 ha riesumato e promosso il programma di Citizenship by Investments di St. Kitts & Nevis, inerte dal 1984, facendo piovere milioni sull’arcipelago. Lo stesso Kalin, ribattezzato dai suoi detrattori “il pirata dei Caraibi”, rivendica personalmente il merito di aver ottenuto l’accesso senza visto all’area Schengen ai portatori di questo documento, come risultato delle pressioni fatte sui legislatori Ue. Sempre lui nel 2013 si è accaparrato il mandato di aiutare Malta a definire le pratiche per un piano di cittadinanza in cambio di investimenti, e ha accompagnato l’Avvocato Generale dell’isola a Strasburgo, quando la Commissione Europea ha bocciato il programma, obiettando ai suoi membri che un’istituzione sovranazionale non ha il potere di regolamentare le politiche di naturalizzazione degli Stati sovrani. Touché. Quando Malta aggiunse un anno di residenza (pure fittizia) ai requisiti, l’Ue fece un passo indietro. E Kalin passi da gigante nella promozione della sua attività presso facoltosi clienti e governi, i quali, affermano alla Henley & Partners, «offrendo maggiore scelta, opportunità, libertà e sicurezza a individui stranieri, si assicurano gli agognati investimenti e arricchiscono la propria cittadinanza di persone con dimostrate capacità imprenditoriali e network di valore». Aprescindere da queste interessate argomentazioni, la proliferazione dei programmi di investimento rivela l’avvenuta ridefinizione del concetto di nazionalità, non più legato al territorio (ius soli) o alla discendenza (ius sanguinis), bensì derivante anche dagli investimenti: lo iuspecuniae, come è stato definito dallo studioso JoachimStem.
Un ampliamento giuridico sintomatico della crescente inattualità dell’idea di appartenenza “naturale” a un luogo. «Se l’intero presupposto della cittadinanza era stato edificato attorno alla Nazione e la stessa è messa sotto discussione dalla tecnologia globalizzante, dal mercato e dalla crisi, allora è logico pensare che anche il nostro sentimento di lealtà e appartenenza nazionale sia chiamato in causa», constata Abrahamian. I clienti della Henley, più che cercare scappatoie legislative e fiscali, hanno preso atto di una realtà: i super ricchi costituiscono una comunità a sé, una “plutocrazia” transnazionale i cui membri hanno più cose in comune traloro che con i pompatrioti. E così, mentre «le élite stanno elaborando una propria identità mondiale individuale, l’opinione pubblica è sempre più scettica nei confronti della globalizzazione e sempre più patriottica», ha scritto il politologo Samuel Huntington. La mercificazione dei passaporti è l’esito di questa divaricazione identitaria che, per quanto accelerata dalla globalizzazione, è forse intrinseca al capitalismo. Perché già nel 1776, anno di pubblicazione de La ricchezza delle Nazioni, Adam Smith enunciava che «il proprietario terriero è necessariamente cittadino del Paese in cui si trova la sua proprietà, mentre il proprietario di azioni è un vero cittadino del mondo».