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 2017  luglio 01 Sabato calendario

Un teorema ritardatario



Una delle caratteristiche più sorprendenti della matematica è la sua capacità di procedere in maniera cumulativa, attraverso successive generalizzazioni dei propri concetti e delle proprie teorie. Per esempio, due dei principali problemi aperti del Novecento sono stati l’ipotesi di Riemann e la congettura di Poincaré, rispettivamente nell’analisi complessa e nella topologia algebrica. Entrambi, tuttavia, affondavano le radici in alcuni dei concetti e degli oggetti più antichi e comuni della matematica: rispettivamente, i numeri primi dell’aritmetica e le sfere della geometria.
Ancora più sorprendente di questa caratteristica è però il fatto che anche nei concetti e negli oggetti originari della matematica rimangono spesso lati oscuri e angoli nascosti, nonostante le loro sistematiche analisi intraprese da schiere di menti brillanti in secoli o millenni di ricerche. Un esempio di come a volte si possano scoprire risultati interessanti anche in ambiti elementari è il teorema scoperto verso il 1640 da Vincenzo Viviani, che fu l’ultimo discepolo di Galileo e il suo primo biografo.
Il teorema di Viviani riguarda una proprietà elementare dei triangoli equilateri, che i Greci avrebbero benissimo potuto notare: il fatto, cioè, che per qualunque punto di un triangolo equilatero la somma delle sue distanze dai tre lati è costante, e uguale all’altezza del triangolo.
Anche la dimostrazione è elementare. Si tratta infatti semplicemente di notare che un punto interno divide il triangolo equilatero in tre triangolini, aventi per basi i tre lati del triangolo e per altezze le tre distanze del punto dai lati. L’area del triangolo originario si può ottenere in due modi diversi: come base per altezza diviso due, oppure come somma delle aree dei tre triangolini, che si ottengono anch’esse come base per altezza diviso due. Ma le basi dei tre triangolini sono sempre le stesse, essendo il triangolo equilatero: l’altezza del triangolo di partenza è dunque uguale alla somma delle altezze dei tre triangolini.
Viceversa, se in un triangolo la somma delle distanze dai tre lati è la stessa per tutti i punti, allora il triangolo è equilatero. Basta infatti notare che se il punto è uno dei vertici del triangolo, due distanze sono nulle e la terza è l’altezza relativa al lato opposto. Ma allora le tre altezze del triangolo sono uguali fra loro, e poiché ciascuna è uguale al doppio dell’area divisa per il lato corrispondente, anche i tre lati devono essere uguali fra loro.
Il teorema di Viviani per i triangoli equilateri si estende ai poligoni regolari, nel senso che la somma delle distanze dagli n lati è la stessa per tutti i punti. La dimostrazione è simile a quella per i triangoli, e si riduce a notare che l’area del poligono originario è uguale alla somma delle aree degli n triangolini aventi per basi i lati del poligono e per altezze le distanze da essi. Poiché le basi sono tutte uguali, la somma delle n altezze dei triangolini è uguale al doppio dell’area del poligono, divisa per il lato.
Volendo quantificare meglio, si può notare che l’area di un poligono regolare di n lati è data dalla somma delle arce degli «triangoli aventi per basi i lati e per altezze l’apotema: dunque, l’area è n volte il lato per l’apotema diviso due. Confrontando con l’espressione precedente, si deduce che la somma delle n altezze dei triangolini è uguale a n volte l’apotema. E nel caso del triangolo equilatero si riottiene ovviamente il risultato originario, perché l’altezza è appunto uguale a tre volte l’apotema.
L’ipotesi di regolarità del poligono è stata usata in due maniere diverse, nei due paragrafi precedenti. Nella prima parte si è usata l’equilateralità per dimostrare la costanza della somma delle distanze, e nella seconda parte l’equiangolarità per quantificarla tramite l’apotema, che è il raggio del cerchio inscritto. Dalla prima parte si deduce dunque che il teorema di Viviani vale in generale per i poligoni equilateri: per esempio, anche per i rombi, che non sono equiangoli.
Ma il teorema di Viviani vale anche per i poligoni equiangoli, non necessariamente equilateri, perché un poligono equiangolo si può immergere in uno regolare con i lati paralleli ai suoi. E vale anche per poligoni che non sono né equilateri, né equiangoli: per esempio, per i parallelogrammi, e più in generale per i poligoni con un numero pari di lati, e i lati opposti paralleli. A riprova del fatto che Viviani non aveva notato soltanto una curiosità isolata, ma aveva avvistato la punta di un iceberg andato alla deriva per millenni nel mare della matematica.