Millennium, 1 luglio 2017
Per Andreotti 26 miliardi. Lo Ior, il lascito del Monsignore e la maxi tangente Enimont
C’è un documento che pochi ricordano sebbene sia centrale nella storia recente del nostro Paese. Parliamo del fondo denominato “Fondazione cardinale Francis Spellman”, istituito esattamente trentanni fa, il 15 luglio 1987, da monsignor Donato De Bonis. Nato a Whitman il 4 maggio 1889, Spellman - c’è una minuscola via a lui intitolata nel parco di Villa Celimontana a Roma – fu addetto alla Segreteria di Stato dal 1925 al 1932; vescovo di New York nel 1939 e cardinale dal 1946. Durante la Guerra fredda caldeggiò Jospeh McCarthy nella sua campagna anticomunista e, negli anni Sessanta, fu un sostenitore dell’intervento in Vietnam fino alla sua morte nel 1967. Quel che non si poteva immaginare, però, è che il suo nome un giorno sarebbe stato legato a Tangentopoli e al conto più misterioso mai approdato sulle scrivanie di una procura. Che proprio la fondazione dedicata a Spellman celasse i conti della più grande stecca mai versata in Italia, la maxi tangente Enimont, i pm milanesi non l’avevano proprio previsto.
Per chi non l’avesse ancora capito ci riferiamo allo Ior, l’Istituto per le Opere di Religione erroneamente definito come la banca centrale del Vaticano. Erroneamente, perché quella in realtà è l’Apsa, acronimo che sta per Amministrazione del patrimonio della sede apostolica. L’origine del malinteso risiede anche nel fatto che qui, nel torrione quattrocentesco Niccolò V (che un tempo ospitava la prigione della Santa Sede) sono stati custoditi i segreti dei più grandi scandali finanziari che abbiano mai segnato la nostra storia, dall’affare Sindona al crac dell’Ambrosiano, passando per Mani Pulite fino alla cricca dei Grandi eventi.
È forse anche per questo che l’attuale Papa – dal primo giorno che ha varcato il soglio petrino – ha promesso di riformare lo Ior.
«Quanto risulterà alla mia morte – scrive De Bonis in un documento rivelato per la prima volta da Gianluigi Nuzzi nel suo Vaticano Spa, edito da Chiarelettere – a credito del (fondo, ndr) 001 -3-14774-C sia messo a disposizione di S.E. Giulio Andreotti per opere di carità e assistenza, secondo la sua discrezione. Ringrazio, nel nome di Dio benedetto». Su questo conto, tra il 1987 e il 1992, Donato De Bonis versa in contanti circa 26 miliardi di lire. Al deflagrare di Tangentopoli, nel 1992, le operazioni crollano. Quelli a cavallo tra l’87 e i L primi Novanta sono anche gli anH ni in cui Raul Gardini, dopo aver scalato Montedison, chiude l’operazione Eni, portando il colosso petrolifero a una joint venture pubblica e privata e alla nascita deH’Enimont. Gardini prova a scalare anche questo secondo gigante, ma Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, si ribella e chiede l’intervento del governo. A quel punto Giulio Andresti offre al privato – Gardini, Montedison – la possibilità di acquistare il tutto o di vendere la quota. Ed è proprio l’Eni ad acquistare il 40 per cento di Enimont, staccando un assegno da 2.805 miliardi, notevolmente superiore al prezzo di mercato. In realtà, per chiudere l’operazione soprattutto in modo indolore dal punto di vista fiscale per il gruppo di Gardini vengono promesse montagne di denaro a quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento e già nel 1990 ben 4,7 miliardi vengono destinati alla Dc del segretario Arnaldo Forlani e del cassiere Severino Citaristi.
Si scopre poi che Luigi Bisignani, 1*11 ottobre 1990, apre presso lo Ior – grazie all’aiuto di De Bonis il conto intitolato “Louis Augustus Jonas Foundation” depositando 600 milioni in contanti. Il conto resta fermo per tre mesi fino a quando, nel gennaio 1991, proprio De Bonis, dopo aver incassato 5 miliardi in titoli di Stato, dirotta quello stesso denaro su due conti: 2,7 miliardi sul “Jonas Foundation” collegato a Bisignani e altri 2,2 sul “Fondazione Spellman” riconducibile ad Andreotti. Dopo pochi minuti, da quest’ultimo, i soldi -con un’aggiunta di 300 milioni – vengono smistati su un conto a Lugano. È la prima trancile della storica maxi tangente Enimont.
Pochi mesi dopo, persone legate al gruppo Ferruzzi (proprietario di Montedison), in compagnia di Sergio Cusani, salgono i piani del torrione dello Ior, creano un nuovo conto, il “fondo San Serafino”, e vi depositano 36 miliardi: pochi giorni dopo ne vengono dirottati 9,6 alla Sbs di Chiasso, sul conto corrente riconducibile proprio all’uomo di fiducia di Bettino Craxi e dei conti segreti del Psi. E siamo alla seconda tranche della super mazzetta. Bisignani, Andreotti, Cusani. Sono soltanto alcuni dei nomi più noti che hanno avuto conti legati allo Ior. Nell’arco degli ultimi 15 anni, scopriamo che anche Angelo Balducci, coinvolto nell’inchiesta sulle Grandi Opere e gli appalti legati al G8 della Maddalena, aveva un suo conto nel torrione Niccolò V.
Con Bergoglio si parla ora di un nuovo corso della finanza vaticana, più trasparente. Ma è veramente così? Oggi lo Ior conta una decina di sportelli per le operazioni di cassa e uno per l’apertura di fondi. Oltre una decina, invece, i punti bancomat allestiti nel Vaticano. I dipendenti sono 110 per un costo di 10 milioni annui. Al suo insediamento Bergoglio annuncia, come detto, la riforma dello Ior, che viene approvata nell’aprile 2014. Tra gli obiettivi, quello di effettuare un’attenta scrematura dei conti. A distanza di tre anni ne sono stati chiusi circa 5mila, in gran parte “dormienti”, ossia non utilizzati da tempo. Nel 2013 erano 17.419; nel 2014 sono scesi a 15.181 e nel 2015 si è arrivati a 14.801. L’andamento si inverte però nel 2016, anche se di poco, quando i conti tornano a salire fino a quota 14.960. E sale anche l’utile che, dai 16 milioni del 2015, si attesta ai 36 dello scorso anno.
Sul fronte delle segnalazioni sospette l’anno chiave sembra il 2015, che ne registra ben 554. Nel 2016, invece, scendono a 207. Ed è un andamento – maggior utile e meno segnalazioni – che merita di essere analizzato con molta attenzione, spiega a Fq Millennium un investigatore. Di certo c’è che lo Ior ha sospeso transazioni e operazioni per un totale di 2,1 milioni di euro, bloccando preventivamente ben 1,5 milioni. Nel 2016 i potenziali casi di riciclaggio ammontano a 22. Altro dato interessante riguarda la circolazione del denaro contante: ogni volta che qualcuno fa entrare o uscire dallo Stato Vaticano 10 mila euro rilascia una dichiarazione alla Gendarmeria. Solo per questo genere di operazioni – importi minimi di 10 mila euro, appunto – nel 2016 sono entrati 9,6 milioni e ne sono usciti circa 24.
Questo è ciò che conosciamo della situazione attuale dello Ior, ben differente dagli anni spregiudicati di Paul Casimir Marcinkus, Roberto Calvi, Michele Sindona, i cosiddetti banchieri di Dio. Quello che non sappiamo è se il risultato odierno corrisponda agli auspici di Papa Francesco.