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 2017  agosto 04 Venerdì calendario

Stregati dall’aperitivo. Vegano, vintage e perfino con gli insetti

Cocktail, è guerra. Nord contro Sud, Centro contro tutti, alcolici contro analcolici perché «healty is the new black», fruttati contro amari, esotici contro classici, tradizionali contro gourmet, aiuto. Ma su una cosa tutti sono d’accordo: all’aperitivo non si rinuncia, anzi, la tendenza è in crescita (+42 % tra i giovani, rispetto all’anno scorso).
È considerato il momento social per eccellenza, l’occasione per vedere gli amici in maniera leggera, assaggiare qualcosa di nuovo, scoprire un bar lounge o un pub, leggendo qualche recensione in anticipo su Tripadvisor e simili. Conferma una ricerca di Martini e TradeLab su tre città-simbolo (Milano, Roma e Bari): negli ultimi sei mesi 1,3 milioni di italiani tra i 18 e i 44 anni hanno preso almeno un drink fuori casa. Poi le differenze ci sono.
Milano è la capitale dell’apericena, che dura anche quattro ore e dopo non si va al ristorante. Si torna a casa. A Roma la serata va avanti in un altro locale. A Sud, nel 40% dei casi l’aperitivo, appunto, prepara alla cena, e va benissimo anche old style (arachidi, olive, patine). Dopo si fa sul serio (a tavola). Piace sempre di più il genere gourmet con piattini sfiziosi, possibilmente creazioni stellate e materie prime selezionate. Da segnalare, un segmento ancora piccolo e un po’ snob rappresentato dai frutti di mare (fa un po’ Parigi). «I Love Ostrica», format di catering e degustazioni, ha distribuito cinque milioni di ostriche, la domanda è in aumento e il geniale apripista è un signore bergamasco, Luca Nicoli.
Ma il re dell’aperitivo nelle «tre Italie» resta il cocktail, ad alta o bassa gradazione, vegano, con l’acqua dei ceci al posto del bianco d’uovo, futuribile o vintage (64%) seguito da prosecco, vino bianco e birra. Certo, ora che ci sono reality come «Bartendency» e star come Mirko Turconi, incoronato con grande enfasi «miglior barista d’Italia», ora che la mixologia è diventata quasi una scienza, stupire è obbligatorio. Che ne dite del «251, Rue Saint Honoré» che propone il Mandarin Oriental di Milano? Vermouth Dry, infuso all’aneto, champagne, alga Nori, tapioca e cozza al vapore. Oppure «Les Lumière», con Star of Bombay, St. Germain, Chartreuse Gialla, Lime Orange Bitters e olio d’oliva? (l’idea è quella di avvicinarsi al food). Direttamente dal Gibson Bar di Londra poi, arrivano i cocktail con gli insetti.
Originalità a parte, c’è un grande recupero del tradizionale, rivisto, shakerato, è il caso di dirlo, reso qualche volta irriconoscibile. Torna il vermouth che sembrava archiviato, tornano alla grande tequila e mezcal. L’amaro non è più solo il digestivo, anzi entra nei mix più creativi. Il cocktail invade con discrezione altri territori. Si prende prima della pizza (Dry a Milano ha inaugurato la moda anni fa) si sorseggia durante la cena (e in questo caso il bartender deve andare d’accordo con lo chef), si allarga nell’after dinner. Raccomandato il Pink Rider: una parte di liquore al mandarino, una di Prosecco e una spruzzata di sciroppo di granatina. Con ghiaccio, ovviamente. E zucchero sui bordi per una dolce notte.
Anche nei bicchieri il 2017 ha portato una piccola rivoluzione. Avete visto quelli a forma di lampadina con la cannuccia? E quelli dello studio KDSZ di Pechino? Un doppio contenitore che svela la sua vera forma soltanto quando viene riempito. Sono concesse stranezze come barattoli di vetro, tazze di metallo e sculture di rame in alternativa a tumbler, rock e flûte. L’aperitivo è diventato un’esperienza sensoriale, perciò esiste una cocktail art. Il capolavoro? Un bicchiere decorato con gelsi e fiori di bougainvillea. Lo trovate su Mixer Planet. Trasmette felicità in fotografia. Figuriamoci dopo averlo bevuto.