la Repubblica, 4 agosto 2017
L’amaca
Se la scelta fosse davvero tra “salvare vite umane” oppure no, l’intero dibattito sulla migrazione sarebbe chiuso seduta stante: perché è ovvio che salvare vite umane non è un’opzione ma un dovere di civiltà, e prima ancora un elementare istinto di umanità. Ben più utile (anche più utile a “salvare vite umane”) sarebbe valutare meglio i modi del soccorso e insieme i modi della successiva accoglienza, che sia dignitosa e non un vergognoso stivaggio a terra di uomini e donne scampati al mare, con tanto di lucro ai margini. E lavorare, possibilmente, non ogni paese per suo conto e non ogni Ong secondo il proprio statuto, ma stabilendo protocolli e intese, così come (pare) si stia finalmente cominciando a fare.
Questo non basterà, già lo sappiamo, a tacitare il coro del “devi morire” che sale dagli spalti xenofobi, per i quali ogni uomo salvato è un invasore e uno scroccone, qualunque persona sia e quale sia la sua storia. Speriamo basti, però, a restituire alla politica e ai governi quel minimo di incisività e di capacità di fare le cose: sarebbe poi questo il loro ruolo, e il ministro Minniti sembra essere uno di quelli che lo sa.