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 2017  agosto 03 Giovedì calendario

Perché il Qatar punta 600 milioni sui gol di Neymar

SE fosse solo calcio, il Qatar non avrebbe speso 600 milioni di euro per comprare dal Barcellona e regalare alla squadra di sua proprietà, il Paris Saint-Germain, il calciatore brasiliano Neymar. Ma non è mai solo calcio quando la devozione per lo sport più popolare, quasi una radice identitaria prima europea ora trapiantata globalmente, viene sfruttata per ripulire un’immagine offuscata dai sospetti di collusione con il terrorismo jihadista.
Neymar a sua insaputa è l’immagine seducente e glamour da mettere in copertina per occultare l’altra faccia dell’emirato-Giano bifronte che nel 2022 ospiterà i Mondiali. Ma che, nell’immediato, è accusato dai Paesi vicini di finanziare formazioni fondamentaliste in Siria e in Libia. E perciò sconta da giugno un embargo voluto soprattutto dall’Arabia Saudita sunnita per punire uno Stato considerato troppo amichevole con gli eterni rivali iraniani sciiti. Dal pantano della rissa mediorientale spunta la più fresca delle icone-pop planetarie, 25 anni, per un’operazione cosmetica che proietta il calcio in una dimensione sconosciuta. Eravamo sì abituati alle follie di un mercato fuori controllo. Qui siamo andati talmente oltre da disarmare persino la più facile delle indignazioni, perché da subito è circolata l’idea che non dobbiamo usare la solita equazione del rapporto costi-ricavi ma i parametri della geopolitica. In nome della quale ogni spesa è legittima.
Se si considera il reddito medio pro-capite, il Qatar, due milioni e mezzo di abitanti, è al primo posto nel pianeta con 132mila dollari (Italia, per fare un paragone, trentunesima con 35.700). Ha riserve di gas per 25 trilioni di metri cubi, il 14 per cento del totale mondiale, estrae 1,8 milioni di barili di greggio al giorno. L’esportazione di idrocarburi produce oltre la metà della sua ricchezza. Importare un Neymar non è un problema di portafoglio ma di convenienza. A dispetto dello Stato islamico, che aveva vietato il calcio ai ragazzi perché un prodotto del mefitico occidente, i giovani arabi vanno pazzi per il pallone. Ma il messaggio trasmesso dall’affare più gigantesco della storia del football ha un doppio uso, interno ed esterno. A noi vuol dire: vedete? Siamo come voi, abbiamo le vostre stesse passioni, amiamo i vostri stessi simboli, siamo nella contemporaneità e non nell’oscurantismo del dio che uccide se ci scegliamo un giocatore con bandana, orecchino e jeans sdruciti. Neymar è l’ultimo trofeo, il più reboante, di uno shopping accorto e fortemente mediatico. Quando in Francia serpeggiavano i malumori per la vendita ai qatarioti di icone nazionali del lusso e di prestigiosi alberghi, scattò la missione-simpatia con l’acquisto e il rilancio del Psg, la squadra simbolo anche se poco blasonata della capitale. Non si badò a spese (Ibrahimovic, Thiago Silva, Cavani) per pareggiare, coi risultati del campo, l’iniziale diffusa diffidenza: i tifosi diventano clementi davanti ai trionfi che sono arrivati, almeno in patria. Dopo un’annata di transizione e senza scudetto, ora il rilancio col gioiello brasiliano. Nella scelta non deve essere estraneo nemmeno un senso di rivincita nei confronti di quel Barcellona che ha estromesso dalla Champions proprio il Psg con un clamoroso 6-1 (ribaltando un 4-0 dell’andata), si era permesso di corteggiare un calciatore del club parigino, Verratti, e, soprattutto, da quest’anno cambia sponsor di maglia preferendo gli yen giapponesi della multinazionale Rakuten ai rial della Qatar Airways. Sgarbo insopportabile, quest’ultimo, se coniugato col retropensiero che i blaugrana abbiano scelto un’altra strada per non essere additati come i beneficiari di uno Stato in odor di terrorismo. Per inciso pene severe sono state decise nei Paesi del boicottaggio per chi circolerà con la vecchia casacca del Barcellona e la scritta dell’emirato nemico (per dare l’idea, in Arabia Saudita multe salatissime e pene fino a 15 anni di reclusione).
Resta da capire cosa c’entri il calcio, almeno il calcio che abbiamo conosciuto, in questo panorama. Bisogna resistere alla tentazione di rispondere: niente. La storia è piena di invasioni di campo della politica nello sport più diffuso. Dai due Mondiali vinti con Mussolini e piegati alla propaganda di regime, al Mondiale dei generali argentini coi desaparecidos nel sottosuolo di Buenos Aires servito come arma di distrazione di massa gli esempi abbondano. Sono cambiati i mezzi, certo. Alla volontà di incidere sui risultati con la persuasione autoritaria si è sostituita la forza dei petrodollari. Meno oppressiva ma non meno invadente. La continuazione della diplomazia con altri mezzi.
Neymar avrebbe dovuto essere cosciente di tutto questo. O forse no. Gli si chiede in fondo solo di fare gol e non pensarci. Ieri il Qatar ha speso 600 milioni per lui e 5 miliardi per acquistare sette navi da guerra da Fincantieri. Nel mondo farà clamore solo la prima notizia.