la Repubblica, 3 agosto 2017
Buoni e cattivi di una catastrofe umanitaria
Con la forza emotiva di un pugno sul tavolo e, soprattutto, con l’evidenza incoercibile dei fatti, il sequestro al largo di Lampedusa della nave Iuventa, disposto dalla Procura di Trapani per «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina», è una storia capace di molteplici svelamenti. Ha il pregio di diradare le ipocrisie e il cinismo di questi mesi che hanno accompagnato il dibattito pubblico sul ruolo delle Ong nel Mediterraneo centrale e al largo delle coste libiche. Di dare un senso, a chi ancora non lo avesse colto, al codice di autoregolamentazione che disciplinerà di qui in avanti le attività di search and rescue delle Ong predisposto dal Viminale (fatto proprio dall’Unione Europea e fin qui firmato in ordine sparso da tre soltanto delle Ong impegnate nelle operazioni). E, non ultimo, di svelare in quale infernale meccanismo il nostro Paese fosse finito. Almeno fino a quando – e ne va dato pieno atto e merito – al Viminale non sono arrivati il ministro Marco Minniti e un’idea di governo dei flussi migratori.
Meglio, una politica che, spezzando il miserabile isolamento cui l’ha costretta da sempre l’Europa, provi a collocare il nostro Paese in un punto di equilibrio tra diritti e doveri dell’accoglienza.
La Iuventa – documentano i filmati e le evidenze, anche testimoniali, raccolte dalla coraggiosa inchiesta di Trapani – non soccorreva migranti sottraendoli alla morte in mare. Li caricava sotto costa, in acque territoriali libiche, con l’accordo dei trafficanti di uomini, per poi depositarli in uno dei tanti porti italiani. La Ong tedesca Jugend Rettet, che della Iuventa è proprietaria, ha mentito fino a pochi giorni fa. Quando, con il suo portavoce Titus Molkenbur, intervistato da Repubblica al termine degli incontri al Viminale, spiegava che Jugend Rettet non aveva firmato il protocollo di autoregolamentazione «perché contrario ai principi umanitari cui l’Ong si ispira». «Il nostro principio di neutralità – argomentava con sguardo corrucciato Molkenbur – ci impedisce di ospitare a bordo agenti della polizia italiana e dunque assumere una parte in un conflitto».
Si capisce ora quale fosse la vera ragione del perché Jugend Rettet avesse deciso di non firmare il protocollo e quale impiccio rappresentassero ai suoi occhi agenti della polizia italiana a bordo. Evidentemente, non di ostacolo ai principi umanitari, ma alle trastule con i trafficanti di uomini. A quanto pare, ritenuti dai giovani tedeschi della Ong in questione soggetti assai più «neutrali» dei poliziotti di un Paese che, fino a prova contraria, i migranti li accoglie non in campi di concentramento, non li depreda dei loro averi, non li dà in pasto ai pesci se c’è da alleggerirsi di zavorra. Ma c’è di più. Si dimostra ora quale oscenità ideologica, questa sì contraria a qualsiasi principio umanitario, nasconda l’idea che il nostro Paese sia parte di un «conflitto» (contro chi?) le cui vittime sarebbero i «migranti». Un’idea non solo priva di qualsiasi fondamento, ma per giunta speculare e, soprattutto, funzionale alle parole d’ordine delle destre che vorrebbero sì trasformare il Mare nostrum in un Mare monstrum presidiato da un blocco navale che sigilli il nostro Paese.
E tuttavia, la storia della Iuventa ci dice anche che nella notte non tutte le vacche sono nere. Che ci sono Ong e Ong. Che, ad esempio, la Jugend Rettet, non è Save the Children, non è Moas, né Proactiva open arms (le tre associazioni che il protocollo di autoregolamentazione lo hanno firmato). E che, dunque, quanto accaduto ieri sulla banchina del porto di Lampedusa, può essere l’occasione, a ben vedere ultima e definitiva, per fare chiarezza nel mondo delle Ong su come si declinino e possano essere declinati i principi umanitari dell’accoglienza e del soccorso in mare. Tanto per fare qualche nome, Medici Senza Frontiere, e con loro tutte le Ong che non hanno firmato il protocollo, devono far sapere, da oggi, se sono con Jugend Rettet o con Save the Children, Moas e Proactiva open arms. Se in questa catastrofe umanitaria che è la crisi dei migranti, l’Italia e l’Europa siano o meno parti di un «conflitto» con cui non si siglano accordi, perché a loro è preferibile, piuttosto, la «neutralità» umanitaria dei trafficanti di uomini.
Non ne va soltanto del loro onore di Ong, della loro luminosa storia umanitaria. Ne va del destino e dello spazio che può e deve ancora esserci nel Mediterraneo per i principi dell’accoglienza e per la legge sacra del soccorso in mare. Non comprenderlo e dunque perseverare nel chiamarsi fuori dalla faticosa (e sicuramente perfettibile, con l’esperienza) cornice di legalità con cui l’Italia, per una volta sostenuta dall’Europa, sta provando a definire un perimetro che tenga insieme diritti e doveri dell’accoglienza, significa consegnare i migranti e il loro destino, il governo di questa catastrofe umanitaria, ai “rimedi” di chi proverà a sostenere che, nella notte, le vacche sono davvero tutte grigie. E che questo errore sia figlio di un abbaglio ideologico sarebbe ancora più imperdonabile. Un ennesimo regalo alle destre populiste europee e alle loro peggiori pulsioni xenofobe.