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 2017  agosto 03 Giovedì calendario

Repubblicani alla riscossa contro Trump

Fino alla scorsa settimana, la presidenza Trump, per quanto fin dall’inizio erratica ed errante, era riuscita a mantenere almeno le apparenze della capacità di governare il Paese.
Il Congresso a maggioranza repubblicana, pur mostrando segni di disagio, permetteva a una Casa Bianca in tempesta di vivere alla giornata.
Ma ora pare si sia raggiunto un punto di svolta. La crescente opposizione dell’establishment repubblicano, il quotidiano gioco al massacro nello studio del presidente, la crescente alienazione dei principali consiglieri e la continua fuga di notizie sulle indagini relative all’inlfuenza russa sul voto, hanno portato Trump a un nuovo record negativo e a soli sei mesi dall’inizio del mandato lo fanno apparire un’«anantra zoppa», quasi un presidente dimezzato.
Trump reagirà sicuramente al suo isolamento politico restituendo colpo su colpo e accentuando i suoi appelli populisti. E i funzionari repubblicani, desiderosi di mantenere il sostegno della base di Trump, tenderanno a dargli corda. Ma i repubblicani a Capitol Hill sembrano finalmente iniziare a comprendere che contenere il loro presidente è un’assoluta priorità nazionale. Una Camera e un Senato stanchi rappresentano la migliore speranza di tenere a bada questo presidente e limitarne il potere.
Dal momento in cui Trump si è insediato, la maggior parte dei repubblicani si è sforzata supinamente di trattare con un presidente ideologicamente agli opposti e che molti pensano essere singolarmente inadatto all’incarico. Tutto è affidato alla lealtà di partito. Ma la marea sta girando.
La Camera e il Senato sono passati a una legislazione sussidiaria del tutto sovversiva che non solo impone nuove sanzioni economiche contro la Russia, l’Iran e la Corea del Nord, ma prevede anche che Trump possa revocare le sanzioni russe solo con il consenso del Congresso. Per un presidente tutto teso a migliorare i rapporti con Mosca questa mossa rappresenta un brusco richiamo da parte del proprio partito, e rende evidente che anche i repubblicani non si fidano di Trump quando si tratta di occuparsi del Cremlino.
Parimenti, dopo il fallimento, la settimana scorsa, del voto in Senato sulla riforma sanitaria, i repubblicani stanno nei fatti abbandonando uno degli obiettivi dichiarati di Trump – abrogare e sostituire l’Obamacare, che hanno ripetutamente e invano emendato. Il fallimento del Congresso controllato dai repubblicani nel bocciare una riforma sanitaria già affossata è una sconfitta per Trump e una chiara indicazione del venir meno della sua autorevolezza.
Un altro indizio che i repubblicani stiano finalmente ritrovando un po’ di nerbo è il fatto che gli attacchi verbali rivolti da Trump al procuratore generale Jeff Sessions per essersi sottratto alle indagini sulla Russia hanno suscitato una vera rivolta tra i suoi ex colleghi al Senato. I repubblicani hanno esplicitamente detto a Trump di lasciare in pace Sessions, precisando che avrebbero cercato di bloccare la nomina di un sostituto se lo avesse licenziato. Non accade tutti i giorni che i repubblicani del Senato si mobilitino contro un presidente del proprio partito.
Sul fronte del personale, la vita quotidiana dell’amministrazione Trump ha preso ad assomigliare a un brutto reality; con un distruttivo tasso di litigiosità interna. Il recente arrivo di un nuovo, sboccato responsabile delle comunicazioni, Anthony Scaramucci, ha provocato l’estromissione del capo dello staff di Trump, Reince Preibus e del suo portavoce, Sean Spicer. Pochi giorni dopo, anche Scaramucci è stato licenziato.
In mezzo a tale caos, è solo questione di tempo prima che se ne vadano alcuni tra i migliori membri della squadra di Trump. Il Consigliere per la sicurezza nazionale, il generale H.R. McMaster, è una delle voci più stabili dello Studio Ovale e ha messo ordine nel Consiglio di sicurezza nazionale.
Ma con Trump non va d’accordo; i due si trovano su posizioni distantissime su questioni fondamentali, tra cui l’Afghanistan e il cambiamento climatico, e McMaster è stato escluso dall’incontro di Trump con Putin ad Amburgo. La sua pazienza potrebbe finire presto.
Lo stesso vale per il Segretario di Stato Rex Tillerson. Continua a lottare per trovare il suo spazio, soverchiato dalla battaglia di ego in corso alla Casa Bianca. Inizialmente a Tillerson sembrava fosse stato assegnato il compito di sovrintendere alla politica sulla Russia, ma la nuova legislazione sulle sanzioni indica che di questo aspetto si sta occupando efficacemente il Congresso. A Washington girano voci sulle sue possibili dimissioni.
Il segretario alla Difesa, James Mattis, è in una posizione più sicura rispetto a McMaster e Tillerson; Trump ha delegato alle forze militari una considerevole autorità operativa, e Mattis è padrone del settore. Ma proprio la scorsa settimana il Pentagono è stato scavalcato dalla decisione di Trump di vietare la carreira militare ai cittadini transgender, rendendo così evidente che nessuno è al riparo dai capricci del presidente. E si può pronosticare che Mattis, un esperto professionista, possa stancarsi rapidamente dell’inettitudine al governo e della politica estera ondivaga di Trump.
McMaster, Tillerson e Mattis formano un notevole triumvirato preposto alla sicurezza nazionale; sono gli adulti della situazione. Ma ci sono scommesse in corso sul fatto che questa squadra non concluderà l’anno. Finora, tutti e tre hanno deciso di rimanere e lottare per dare senso a un’ amministrazione che ne ha poco. Ma alla fine l’autostima potrebbe indurli ad andarsene da una nave che affonda. Queste partenze, quando iniziano, in genere portano altri consulenti di alto livello a seguirne l’esempio.
L’indagine sulla Russia è la terza fonte principale della perdita di autorità politica di Trump. Le rivelazioni sul’incontro di Donald Trump Jr. lo scorso aprile con un team russo che offriva informazioni destinate a danneggiare Hillary Clinton ne rappresentano l’ultimo, drammatico episodio. Quale che sia il contenuto di tale riunione, sappiamo ora che la squadra di Trump era disponibile, per non dire entusiasta, dei tentativi russi per influenzare il risultato delle elezioni presidenziali. Anche se non si arrivasse mai alla prova provata, l’inchiesta in corso e le ulteriori informazioni che sicuramente produrrà continueranno a minare la credibilità politica della presidenza Trump.
La Costituzione statunitense concede al presidente americano un ampio potere esecutivo. Ma consente anche al Congresso la facoltà di respingere i suoi provvedimenti, facendone così lo strumento più importante della nazione per disciplinare una Casa Bianca errante. Questi contrappesi istituzionali, insieme agli abbandoni nella squadra di Trump e ai danni causati dalle rivelazioni dell’inchiesta sulla Russia, hanno cominciato a mettere una seria ipoteca sulla presidenza Trump.
Anche nella migliore delle ipotesi saranno quattro lunghi anni. Ma riuscire a contenere Trump può limitare in modo significativo i danni che potrebbe fare.
traduzione di Carla Reschia