Corriere della Sera, 2 agosto 2017
I vicoli di Napoli visti da Saviano tra rapine, latitanti e poliziotti corrotti
SPOLETO «Meglio essere temuti che amati»: è lo slogan della banda degli scugnizzi che si snoda per i vicoli di Napoli, il vessillo sbandierato, tra pistole e strisce di cocaina, sui marciapiedi dello spaccio, ma anche la condanna senza appello per chi non ce la fa a uscire dal pozzo nero del malaffare e a condurre una vita normale. Dopo Gomorra, ecco di nuovo Roberto Saviano e Marco Gelardi autori in coppia de La paranza dei bambini, dal romanzo omonimo dello scrittore napoletano. E il contenuto dello spettacolo teatrale non sorprende, il linguaggio è lo stesso del precedente. «Io non posso lavorare, il lavoro è degli schiavi», «quando passi si devono inchinare», «la paranza è il braccio armato... ma io non voglio essere il braccio di nessuno... dobbiamo arrivare alla cima». Queste alcune delle frasi che ingombrano il testo insieme al corredo di latitanti, poliziotti corrotti, rapine, spari, feroci iniziazioni alla «mala» con il rito del pane, del vino, del sangue che sgorga dalle braccia. Una danza di morte, perché «chi non fa un morto non comanda...», che non solleva dubbi, ma elargisce solo le solite certezze, sentenze annunciate. Insomma storie e personaggi già visti e rivisti in tante serie tv che, nella drammaturgia firmata dalla coppia, non trovano approfondimento, non si innalzano a metafora, restando invece aderenti al resoconto quotidiano dei bassifondi criminali. Ma il teatro non può essere ridotto a cronaca nera e lo Shakespeare, invocato ed evocato dagli autori come modello e punto di riferimento, dov’è? Qui sprofonda nella cupa paranza del Rione Sanità.