Corriere della Sera, 2 agosto 2017
Il mio Luciano segreto. Nicoletta Mantovani: «A 10 anni dalla morte mi manca moltissimo. Per lui la cucina era il luogo più importante della casa»
Modena Nell’aria assolata del pomeriggio, la voce di Luciano Pavarotti accompagna i visitatori nella casa museo a lui dedicata, appena fuori Modena. La sua Nicoletta arriva sulle note allegre di Voglio vivere così. Sorride con dolcezza. «Facciamo una media di 50 mila visitatori all’anno. Vengono anche famiglie con i bambini piccolissimi, una bellezza», dice. È alle prese con i preparativi di Pavarotti 10th Anniversary, la serata evento ospitata all’Arena di Verona il 6 settembre in diretta su Rai1, che ospiterà tra gli altri Plácido Domingo e José Carreras, Zucchero, Nek, Eros Ramazzotti, Giorgia, Il Volo, 2Cellos, Fiorella Mannoia, Massimo Ranieri, Andrea Bocelli (in collegamento).
«Sono passati dieci anni, ma Luciano mi manca sempre moltissimo», sussurra. Nicoletta Mantovani oggi ha un nuovo compagno, ma in questa casa tutto parla del Maestro. «Il luogo più importante per lui era la cucina, avevamo sempre tanti ospiti: non doveva mancare niente. Anzi, era tutto doppio». E indica due frigoriferi, due piani cottura e due lavastoviglie nella grande stanza dove domina il giallo. «Era il suo colore preferito, il colore del sole». Appesi alle pareti ci sono alcuni disegni infantili. «Li ha fatti Alice, lei e Luciano dipingevano insieme, un’attività che li legava molto e una delle cose che lei ricorda meglio. I colori, le matite… Studia al classico, le piace molto il greco antico. Vedremo più avanti che strada deciderà di prendere».
Aveva quattro anni e mezzo quando un cancro al pancreas si portò via il suo papà. «Luciano si accorse di essere malato un anno e mezzo prima, la sua ultima esibizione fu all’Olimpiade di Torino, poi iniziò a stare male – ricorda Nicoletta —. Andammo a New York, all’inizio si pensava a un problema legato alla colonna vertebrale. Quando i medici capirono, lo operarono. L’intervento andò bene, ma dopo un anno cominciò a peggiorare». Come affrontò la malattia? «Era un combattente, ha lottato fino alla fine con grinta e determinazione, senza mai perdere il sorriso. L’ultimo, e lo racconto sempre ad Alice perché ancora oggi mi fa commuovere, lo fece proprio a lei, poco prima che andasse a casa dei nonni, poco prima che tutto finisse. Sembrava che non fosse cosciente, invece si è girato e le ha sorriso». Come glielo ricorda quell’uomo che il mondo non dimentica? «Le dico sempre che suo padre era un grandissimo artista, con una voce inconfondibile. Ma anche un uomo specialissimo».
Alice, prosegue Nicoletta, «gli assomiglia in molte cose. La verità, soprattutto. Luciano era come lo vedevi, non faceva mai una cosa perché la doveva fare. Era tranchant, ma poi finiva lì, non era uno che poi teneva il muso». Cosa l’ha fatta innamorare di lui? «Era generoso, senza riserve. Riusciva a farti sentire la persona più importante al mondo, per chi aveva bisogno c’era sempre. Al pubblico dava tutto se stesso. Non era in competizione con i colleghi, per lui la sfida era con se stesso. Le critiche gli scivolavano addosso, e quante ne ha ricevute. Lo accusarono, con i Tre tenori, di massificare l’opera, di renderla pop che era proprio quello che voleva fare lui».
Anche lei è stata molto criticata dopo la morte del Maestro: malignità, polemiche e battaglie legali sull’eredità. «Ho sofferto molto. Chi mi ha allungato la mano in quel periodo è stato Fabio Fazio. Ero qui, con Alice, disperata. Un giorno si presentò e disse: “Adesso basta” e mi convinse a parlare. Mi ha aiutato il pensiero di Luciano, ho cominciato a chiedermi cosa avrebbe detto, o fatto, lui. Mi ripetevo quella frase meravigliosa che era il suo mantra: “Un bel tacer non fu mai scritto”. Quando ho reagito l’ho fatto per Alice, perché non vedesse più i suoi genitori massacrati mediaticamente».
La cattiveria più grande? «Non avere il diritto di replica, non poter rispondere alle insinuazioni». Ha messo tutto alle spalle? «Sì. Ripensare ai momenti bui ovviamente mi fa male, ma l’unica cosa che volevo era tutelare il ricordo di Luciano. La Fondazione è nata dalla volontà di portare avanti il suo sogno: aiutare i giovani». Sale al secondo piano della casa museo. Dal lucernario entra una cascata di luce. «Usciva poco per la voce, così Luciano faceva entrare il cielo in casa» spiega.
In una serie di bacheche sono esposti i premi più significativi tributati al Maestro. «Sei Grammy e persino un Grammy Legend Award. E ancora il Kennedy Award, di solito assegnato a personalità Usa, e più di seicento chiavi di città». Nella camera da letto dove il tenore morì, lasciata così com’era, sono appesi i quadri da lui dipinti di cui andava più fiero. Sulla destra, una porta immette in un bagno grande, luminoso. Nicoletta indica la sauna e poi «la sua nemica amatissima», una bilancia meccanica a colonna. Si ferma, perplessa. «Questa storia mi fa diventare matta» mormora: mentre parla, riporta il peso scorrevole della scala graduata, fissato oltre i cento chili, a zero. «Ogni volta lo posiziono qui – dice indicando lo zero – e ogni volta lo trovo spostato. È un mistero: nessuno sapeva quanto pesava Luciano, ma quel peso torna sempre lì. E nessuno dice di averlo spostato».