Corriere della Sera, 2 agosto 2017
Vanessa Ledezma: «Mio padre, portato via in pigiama». Parla, figlia dell’ex sindaco oppositore di Maduro, preso nella retata notturna
«Lo hanno trascinato via, come un criminale, nel cuore della notte, mentre era ancora in pigiama». Vanessa Ledezma, 34 anni, ha saputo del padre Antonio, ex sindaco di Caracas, leader del partito di opposizione Alianza Bravo Pueblo, da Twitter.
Un incubo da cui è difficile svegliarsi nel Venezuela dilaniato dalla guerra civile, dopo che in un solo weekend di proteste hanno perso la vita dodici persone. Come tutti Vanessa ha visto il filmato realizzato da un vicino. Fotogrammi crudi che ritraggono Ledezma trascinato via da nove uomini del Sebin, la polizia speciale del regime. «L’avevo sentito la notte prima, era tranquillo, poi ieri mattina ho guardato il telefono e ho capito che era successo qualcosa... L’hanno prelevato verso mezzanotte senza dire nulla e senza leggergli nessuna accusa». La donna vive in Italia da sette anni, «per la sicurezza delle mie bambine».
Suo padre è stato arrestato nel febbraio 2015 con l’accusa di cospirazione golpista...
«Sì, ha più di sessant’anni, gli avevano concesso i domiciliari per motivi di salute dopo due mesi di detenzione al Ramo Verde (il carcere militare alle porte di Caracas dove vengono rinchiusi gli oppositori, ndr ). Allora avevano fatto irruzione nel suo ufficio senza mandato. Sa quale era la “prova” del complotto? Un piano per la transizione democratica pubblicato sui giornali una settimana prima dell’arresto. È ridicolo. Non ha mai avuto un vero processo. Eppure rischia 26 anni di carcere».
Gli avvocati sono riusciti a comunicare con lui?
«No. Nessuno l’ha visto. Ci dicono che l’hanno riportato al Ramo Verde. Ma non ci è stato comunicato niente di ufficiale. Non so come stia o cosa gli stiano facendo. Ritengo responsabile direttamente Nicolás Maduro di quello che può succedergli».
La Corte suprema venezuelana sostiene di avergli revocato i domiciliari perché stava pianificando la fuga...
«Se mio padre avesse voluto lasciare il Paese lo avrebbe fatto tanto tempo fa, prima dell’arresto. Sapeva benissimo che il Sebin lo teneva d’occhio. Ha scelto di restare e di combattere al fianco dei venezuelani. Mi dice come fa a fuggire uno che è ai domiciliari controllato a vista dagli uomini della polizia speciale?».
Come spiega la decisione di riportarlo in carcere? Ha a che fare con il voto di domenica per l’Assemblea costituente?
«Sicuramente. La tensione è salita. Dopo tre mesi di proteste e 120 morti, l’unico segnale dato dal governo sono state elezioni farsa per una Costituente che ha come unico obiettivo delegittimare il Parlamento e instaurare la dittatura. Solo il 12 per cento dei venezuelani ha votato. Mentre il 90 per cento rifiuta questo governo e chiede un cambio immediato. Mio padre aveva realizzato un video messaggio per denunciare la situazione. Parole che hanno dato sicuramente fastidio».
Insieme a Ledezma è stato riportato in carcere anche Leopoldo López cui erano stati concessi i domiciliari dopo 40 mesi di prigionia. È in contatto con la moglie di López, Lilian Tintori?
«Sì, come sempre ci siamo scritte. Li hanno portati via più o meno alla stessa ora. Siamo entrambe molto provate».
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein ha chiesto il rilascio immediato di tutti gli oppositori, tra cui suo padre e López. Stessa cosa ha fatto il governo brasiliano e gli Stati Uniti si sono detti profondamente preoccupati per l’evolversi della situazione...
«Sì ma non basta la solidarietà. In Venezuela è in atto un genocidio. Le sanzioni americane non sono sufficienti. Anche l’Unione europea e il resto della comunità internazionale devono intervenire con un atto forte. Non lasciateci soli».
Cosa succederà ora?
«Le proteste di piazza continueranno finché non ci saranno vere elezioni democratiche. E Maduro andrà a casa con tutta la sua cricca».