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 2017  agosto 02 Mercoledì calendario

«Quando Pratt creò l’eroe davanti ai miei occhi». Intervista a Ferruccio Giromini

Ferruccio Giromini, critico e storico dell’immagine, a tredici anni cominciò a frequentare, da lettore, la redazione della rivista Sgt. Kirk, diretta a Genova da Claudio Bertieri, dove Hugo Pratt realizzava Una ballata del mare salato.
«Fu un’esperienza indimenticabile – racconta oggi –. Pratt mi apparve subito come un personaggio molto interessante. Quando scoprii che nel finesettimana rimaneva tutto solo a disegnare, presi ad andarlo a trovare».
Di cosa parlavate?
«All’inizio soprattutto di fumetti. Di quelli che si pubblicavano in quel momento in Italia, da Linus in giù, di quelli degli anni Trenta che lui ricordava da ragazzo e che io leggevo in ristampe, e naturalmente dei suoi, vecchi e nuovi, intorno ai quali mi sottoponeva a un fuoco di fila di domande, per sapere nel dettaglio cosa ne pensavo. Mi usava un po’ come campione del suo pubblico. In breve passammo anche alle altre nostre passioni comuni: il cinema (in quel momento amava soprattutto il Cinema Novo brasiliano), la letteratura, specie nord e sudamericana (da Zane Grey a Roberto Arlt), il jazz, anche le cornamuse. Gli argomenti non mancavano mai».
Che atteggiamento aveva nei suoi confronti?
«Mi stupì. Mi provocava con domande ma, nonostante la grande differenza di età, mi stava ad ascoltare. Mi fece sentire importante, non dico un suo pari, certo, ma non mi trattava dall’alto in basso. Da un lato mi consigliava, dall’altro mi dava piena fiducia. Tanto che fu lui, anni dopo, a spingermi con sicurezza a cimentarmi nel mondo della scrittura professionale. Mai in modo paternalistico, ma da amico, generoso e autorevole».
Capiva già quale capolavoro stava venendo fuori?
«No. Mentre lo vedevo disegnare la Ballata, avevo l’improntitudine di dirgli: ma non ti pare di esagerare con questa sintesi? Preferivo i suoi disegni più dettagliati, e non riuscivo a mentire in proposito, anche se mi accorgevo che a lui non faceva tanto piacere sentire quelle mie sconsiderate critiche».
Qual è stato nel corso degli anni il suo rapporto con Hugo Pratt e con il suo personaggio di Corto Maltese?
«Pratt persona è stato un caposaldo della mia vita. Devo confessare che per me Corto è una faccia, una soltanto, di Hugo».
Come giudica la sua evoluzione grafica, quel minimalismo che ha contraddistinto i suoi ultimi lavori?
«Hugo era un gran pigro che si dava molto da fare, una specie di ossimoro vivente. Era bravissimo a ottenere, da sé e dagli altri, il massimo risultato con il minimo sforzo. Man mano che il suo carisma aumentava, e con esso la sua libertà di movimento, anche espressivo, poteva approfittarne sempre meglio. Era ciò a cui aveva sempre teso. E comunque, diciamolo, a lui interessava più raccontare, scrivere, che disegnare».
Il suo ultimo ricordo di lui?
«Il penultimo è uno dei più belli. Nella cucina della sua casa svizzera, a Grandvaux, noi due a chiacchierare tranquilli mentre fuori pioveva. Gli ultimi sono più tristi, quando aveva cominciato a star male e comunicavamo perlopiù via fax».
Come vede il destino di Corto Maltese affidato ad altri grandi autori?
«Devo dire che la prima avventura realizzata da Canales e Pellejero è riuscita a sorprendermi favorevolmente. Mi sembrava una missione impossibile resuscitare Corto Maltese, ma i due se la sono cavata in modo egregio. Certo, il loro Corto non è Pratt, ma è ragionevolmente prattiano. D’altronde i marinai e gli avventurieri possono avere caratteri mutevoli, ed è cosa buona e giusta che riescano a sconcertarci».