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 2017  agosto 02 Mercoledì calendario

L’ultima battaglia di Bono, l’eterno boiardo di Stato che spinge per la pace

C’erano una volta i boiardi di Stato. E a ben vedere ci sono ancora. Anzi, ce n’è rimasto solo uno, ma è a capo di un colosso capace di fare affari in ogni angolo del mondo. Lui è Giuseppe Bono, 73 anni, calabrese di Pizzoni, dal 2002 amministratore delegato di Fincantieri, tutta una vita trascorsa nel mondo pubblico, più di mezzo secolo iniziato all’Efim e concluso appunto alla guida del gigante della cantieristica navale. Sarà probabilmente questa la sua ultima avventura, perché ben difficilmente, fra due anni, alla scadenza del mandato, si potrà pensare a un altro rinnovo. C’è chi sussurra che, per come ha gestito la trattativa con i francesi per il controllo mancato di Stx, dentro al governo si sia addirittura pensato a una sua sostituzione. Soprattutto il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, sarebbe rimasto stupito dalla piega assunta dalla trattativa, che già pareva conclusa e che adesso appare molto più difficile con la nazionalizzazione dei cantieri. In realtà è stato proprio Bono ad aprire il dossier e sarà di nuovo di lui, ora, a impostare il dialogo a tutto campo con i francesi. E se alla fine, nonostante le distanze attuali, si dovesse arrivare all’accordo, sarebbe davvero impossibile pensare a una sua sostituzione.
D’altra parte, di un cambio al vertice di Fincantieri si era già parlato un paio d’anni fa, quando in azienda era arrivato come direttore generale l’ex ad della multiutility romana Acea Andrea Mangoni. Era il “delfino” candidato naturale alla successione. Se n’è andato dopo otto mesi, in profondo disaccordo con Bono che ha proseguito per la sua strada e a maggio del 2016 ha incassato il suo quinto mandato. Ora nel ruolo di direttore generale c’è Alberto Maestrini, genovese, già a capo della divisione Militare, profondo conoscitore del business e riservato quanto basta per piacere a Bono che dell’understatement ha fatto la sua bandiera. Laurea in Economia e Commercio (e ingegnere ad honorem), Giuseppe Bono (“Peppino” per gli amici più intimi) entra in Omeca (Fiat-Finmeccanica) nel lontano 1963. Nel ’68 è in Efim e da quel momento non lascia più il mondo pubblico. Affascinato dal primo presidente della Regione Calabria del ’70, Antonio Guarasci, democristiano di sinistra, poi socialista manciniano, Bono in realtà è un grande pragmatico capace di dialogare con ogni schieramento e ogni governo. Il suo passaggio da Finmeccanica a Fincantieri avviene durante il governo Berlusconi, con Umberto Bossi, all’epoca ministro per le Riforme Istituzionali, a passeggiare con lui fra i cantieri di Monfalcone. Fincantieri, che oggi fa capo a Cassa Depositi e Prestiti, all’epoca era di proprietà diretta del Tesoro, guidata da Giulio Tremonti, storico avversario degli accordi commerciali con la Cina. Oggi la rotta è cambiata e Bono è andato a Pechino per firmare lo storico accordo che per la prima volta permetterà a un’azienda italiana, ovviamente Fincantieri, di costruire navi da crociera in Cina per il mercato locale. Rigoroso fino all’estremo (i suoi collaboratori temono le cene in trasferta in cui lui propone le pizzerie più scalcinate), diserta i salotti e i luoghi della mondanità. Per le vacanze si concede qualche puntata con gli amici di sempre a Tropea e poi si rifugia con la moglie nella sua villetta a schiera di Tagliacozzo, in Abruzzo. Celebre la fuga, lo scorso anno, da una sfarzosissima cerimonia di varo subito dopo il pranzo di gala. A Tagliacozzo lo attendeva la processione dedicata alla Madonna. Appassionato di letture e tifosissimo della Juventus, ricorda spesso il mondo il cui è stato bambino, quella Calabria che ha lasciato a 18 anni insieme agli studi, quando unico figlio maschio salì a fare l’operaio a Torino. Poi il ritorno al Sud, il lavoro alla Omeca e la ripresa degli studi, con la laurea in Economia e l’avvio di una carriera sempre in crescita. Un destino da manager? Fino a un certo punto. In realtà avrebbe voluto fare il prete, ma il suo essere l’unico maschio della famiglia gli impose il lavoro prima della fede.