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 2017  luglio 30 Domenica calendario

Boom di premium e speciali. La birra cresce dieci volte

Nel giro di pochi anni il mercato italiano della birra è letteralmente esploso. Rispetto alla metà dello scorso decennio anche i brand storici hanno moltiplicato almeno per 10 l’assortimento. Da prodotto standardizzato e sostanzialmente quasi indifferenziato la “bionda” è diventata un oggetto del desiderio per consumatori alla ricerca di gratificazioni gustative. Da bevanda dissetante ora la birra rischia di fare concorrenza al parente più blasonato, almeno alle nostre latitudini: il nettare di Bacco. Come il vino, oramai, ce n’è una per ogni occasione e praticamente per ogni portata. 
Escludendo le birre artigianali che hanno una diffusione sostanzialmente locale, le bionde italiche non erano tantissime. Frutto di un processo di concentrazione iniziato sul finire degli anni Sessanta, quando sono spariti marchi vecchi anche di un secolo. La geografia finanziaria dei produttori è quella che si può vedere in tabella, con la maggioranza dei brand acquisiti da grandi gruppi stranieri. Alla olandese Heineken fanno capo Moretti e Dreher. Parla addirittura giapponese la Peroni, mentre un’altra casa storica, la Poretti, appartiene alla danese Carlsberg. Restano italiani al 100% due gruppi: Forst Menabrea, la prima dell’Alto Adige e la seconda di Biella, e l’accoppiata Castello-Pedavena (friulana e udinese). 
Ma dove prima c’era un’unica bottiglia e un unico prodotto, fra l’altro senza molte pretese in ossequio al verbo della standardizzazione industriale, ora ce ne sono anche poco meno di venti. Fra edizioni speciali, bottiglie premium ed etichette legate ai territori, c’è da confondersi, tanto l’offerta è ampia e segmentata. Peroni ha 13 etichette diverse, Moretti 18 come Forst Menabrea, Poretti 17 al pari di Castello Pedavena. Se fino alla metà degli anni Dieci c’erano una decina di bottiglie differenti, ora ce ne sono quasi novanta. 
E proprio l’antico birrificio di Valganna, nel Varesotto, ha tracciato la strada per la moltiplicazione esplosiva delle etichette. Dietro al successo che ha portato Carlsberg Italia, proprietaria di Poretti, al 9,7% del mercato italiano c’è un manager, Alberto Frausin, spedito dai danesi nello storico impianto di Induno Olona con un compito: chiudere e licenziare tutti. Ma Frausin capisce che nei cassetti del birrificio fondato nel 1877 c’è un tesoro di tradizioni, idee e progetti. Così inizia l’epopea dei Luppoli (le birre Poretti si distinguono quasi tutte per il numero di luppoli utilizzati, da 3 a 10). Al posto della vecchia Splugen ora ci sono 17 etichette. Tutte di grande successo. «Al mio arrivo ho capito che c’era una tradizione inimitabile», mi spiega Frausin, «e mi sono limitato a riportare in vita vecchi prodotti dimenticati. A cui di recente se ne sono aggiunti di nuovi, come la 10 Luppoli Bollicine Rosé. Il mercato ha reagito molto bene. Probabilmente era quello che si aspettavano i consumatori». 
Anche Peroni non è da meno e ha arricchito l’offerta di birre speciali. Al pari della Moretti e degli altri player italiani. Le etichette sono sempre più caratterizzate e legate ai territori, come le regionali del Baffo o le 100% Italia della Peroni. Un fenomeno, questo dell’italianità, che coinvolge anche alcune marche della Gdo, come Coop, che ha chiamato «Birra Italiana» il prodotto di casa. 
A quantificare il trend ci ha pensato l’istituto di ricerca Iri nel Withe Paper 2017. Lo scorso anno le bionde standard rappresentavano il 37,3% del mercato, le premium il 31,2% e le speciali il 19,3. In crescita però dell’11,6% rispetto al 2015. In forte calo (-7%) le economy scese ad appena il 6,4% del mercato. 
Nonostante i margini siano cresciuti per i produttori, l’Iri rileva una forte pressione promozionale con le catene della Grande distribuzione che impongono ai birrifici sconti e offerte speciali. Nei segmenti Standard e Premium, dove si concentra la presenza di quasi tutte le grandi marche ed è più forte la concorrenza, le promozioni hanno superato il 50% del venduto complessivo. Una manna per i consumatori, ma con effetti negativi sui conti dei player di mercato, poco sopportabili nel lungo periodo.