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 2017  luglio 29 Sabato calendario

Francesca Inaudi, curiosa e perfezionista. E una valigia per gli Usa sempre pronta. «Se ti vuoi bene hai vinto»

Sarebbe piaciuta alla sacerdotessa della moda Diane Vreeland questa ragazza dai tratti aristocratici, la pelle trasparente, il collo da cigno. Francesca Inaudi ha un’eleganza naturale ma sa anche essere buffa come un clown. «Quando abbiamo girato Tutti pazzi per amore non ho avuto dubbi: Maya, con quei capelli ciclamino, esagerata, dovevo essere io. Mi piace la commedia ma anche far commuovere e rischiare», racconta l’attrice. «Del mio lavoro mi piace tutto. Anche la fatica».
Un lungo percorso, dal diploma alla scuola del Piccolo Teatro di Milano ai successi al cinema (diretta da Archibugi, Martone, Brizzi, Comencini, Amendola) e nelle serie tv che le hanno regalato la popolarità. Perfezionista e curiosa, sempre con la valigia pronta. Nel film Ninnananna di Dario Germani e Enzo Russo è una madre che soffre di depressione post partum. «Un viaggio in un tabù» racconta, «me ne sono resa conto documentandomi. Le madri devono essere felici per forza, invece possono essere inghiottite in un buco nero. Tante soffrono ma se ne parla poco: in America gira il camioncino con l’ostetrica per spiegare che la gioia di un figlio può portare zone d’ombra. Il cinema indipendente ha una vita difficile ma questo era un film importante». In autunno uscirà Stato d’ebbrezza di Luca Biglione che affronta il tema dell’alcolismo, poi tornerà a teatro con La vedova scaltra di Goldoni messa in scena da Gianluca Guidi.
Curiosa, la valigia per l’America sempre pronta, Inaudi è una perfezionista: «Lo sono in tutto ciò che faccio. Penso sempre che se qualcuno mi guarda non posso tradire le aspettative. Alzo l’asticella e cerco di essere all’altezza». Non si è mai fermata. Oggi costruisce nella vita privata, sogna un figlio. Al fianco di Amnesty International, in prima linea nelle battaglie femminili, continua ad allargare gli orizzonti: «Faccio un mestiere in cui la bellezza conta e io non sono certo una bella classica», racconta «quando dicono che sono sensuale la parte di me che non ci crede è felice. Con gli anni si acquistano consapevolezza e nuove sicurezze: ci sono cose di me che non mi piacciono ma conosco i punti di forza. Ero un’adolescente che si ripeteva: “Nessuno mi guarda” e così non guardavo gli altri. Il primo bacio l’ho dato a un ragazzino che mi stava dietro da mesi, non l’avevo mai notato».
L’infanzia felice a Siena, in campagna, la libertà come dono supremo, gli studi al Piccolo di Milano, poi i continui viaggi in California. «Mi sento fuori dagli schemi» sorride «ho la carta verde e faccio su e giù con Los Angeles dove ho preso una casa in affitto. Studiare significa mettermi in discussione, non importa quello che dicono gli altri. Parto, mi carico, acquisto nuovo energie: quando torno in Italia è come se avessi fatto il pieno di benzina. Non vivo la fase down per cui se non squilla il telefono mi sento perduta, ho il piano B». Racconta di Hollywood, dei cani da portare a spasso, delle spiagge di Malibu e Santa Monica, popolate da donne perfette. «È pazzesco, però si assomigliano tutte» spiega l’attrice «La mia insegnante Ivana Chubbuck (la coach dei divi, da Brad Pitt e Charlize Theron, ringraziata pubblicamente da Halle Berry la notte degli Oscar ndr) mi ripete sempre: “Trasforma le debolezze in punti di forza: le tue debolezze sono solo tue”. Se tutte sono bionde con le extension, io porto i capelli corti. Se sei uguale ad altre cento non potrai mai distinguerti. Anche Meryl Streep ha sofferto, le ripetevano: “Non sei bella”, ma è la più grande. Hanno messo continuamente Kate Winslet sulla bilancia. Jennifer Lawrence lo ha detto chiaro e tondo: basta diete. Emma Thompson che si ribella – “Devo essere più magra? Ma questo è un ruolo da modella o attrice?” – ha vinto. Tutte le donne sono messe sotto pressione, non solo al cinema. So riconoscere la bellezza oltre i canoni. Se ti vuoi bene hai vinto». Autoironica, spiega come si usi a sproposito la parola “ragazza”. «A dicembre avrò quaranta anni, capisco che la vita si è allungata – gli ottanta anni di oggi non sono quelli di una volta – ma questa società continua a pensare che una persona sia giovane a 40 anni. Uno è giovane a venti», dice con aria saggia «è l’età giusta per fare, sbagliare e provare a costruirsi un futuro. Invece in Italia le chance arrivano per i “giovani” di quaranta anni. Qualcosa non va».