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 2017  luglio 29 Sabato calendario

Libia, pronte due navi italiane. Possibili anche interventi a terra

ROMA Due navi. Alcune centinaia di uomini impegnati, tra quattrocento e settecento. E la possibilità di utilizzare l’operazione già in corso “Mare sicuro” per supportare l’attività della Guardia costiera libica, stavolta però direttamente dentro le acque territoriali di Tripoli. Un impegno che non esclude anche interventi di ricognizione a terra per determinare le attività da svolgere. Ecco i primi dettagli della missione navale italiana in Libia, che è preceduta in queste ore da un primo “sondaggio” di ricognizione di un pattugliatore.
La riunione di governo che mostra semaforo verde al piano dura poco. Interviene il premier Paolo Gentiloni, definendo il progetto– riferiscono – «molto soft». Un modo per superare anche il balletto di dichiarazioni delle istituzioni libiche sulla reale portata dell’azione della nostra Marina. Poi tocca al ministro dell’Interno Marco Minniti – che ieri ha incontrato il suo omologo del Mali – assicurare che si tratta di un passo «molto importante» contro il traffico degli scafisti, in un quadro più ampio che comprende anche il rafforzamento della presenza dell’Oim e dell’Unhcr nei centri d’accoglienza in Libia e il controllo del confine sud del Paese.
Tecnicamente, come detto, non siamo di fronte a un nuovo intervento, ma soltanto all’estensione del raggio d’azione di “Mare sicuro” dentro le acque libiche, con l’impiego di un pattugliatore e di una nave con funzioni di logistica (una semplice petroliera militare o una più potente nave portaelicotteri classe San Marco, si vedrà). Anche i costi, al momento, sono assorbiti nel precedente stanziamento. Un impegno che potrebbe allargarsi, visto che nel testo della delibera dell’esecutivo non si pongono limiti al numero iniziale di due unità, e sarà possibile coinvolgere tutti gli uomini e i mezzi impegnati nelle operazioni già in corso.
Ma non basta. Nel documento si indica anche la possibilità di missioni di ricognizione sul territorio libico dei militari italiani per determinare «le attività di supporto da svolgere», oltreché di un’attività per il «ripristino degli assetti terrestri, navali e aerei, comprese le relative infrastrutture», funzionali al contrasto dell’immigrazione: di fatto, non si esclude di andare a rimettere a posto le loro strutture.
Mentre si studiano i dettagli, i due Paesi provano a superare le incomprensioni delle ultime ore. E tocca a Gentiloni rassicurare il premier libico Fayez al Serraj, che aveva espresso dubbi sul tipo di operazione pianificata da Roma. «Non rispecchierebbe la sostanza della decisione del nostro governo presentare la missione come un enorme invio di grandi flotte e squadriglie aerei – assicura – Noi contribuiremo a rafforzare la sovranità libica».
Garanzie che colgono nel segno, visto che il ministro degli Esteri di al Serraj ribadisce poco dopo la richiesta di un «sostegno tecnico, logistico e operativo» alla Guardia costiera del Paese africano. Il prossimo passaggio è quello parlamentare. Martedì i ministri Angelino Alfano e Roberta Pinotti sono attesi nelle commissioni competenti.
E proprio la ministra della Difesa, ieri, ha precisato alcuni paletti per i nostri militari: «Risponderemo al fuoco se attaccati? Questo sempre, in ogni occasione. Ma per i dettagli parlerò alle Camere». In quella stessa sede Gentiloni si augura che arrivi «il consenso più largo alla missione». Ma la politica si divide.
Pezzi di opposizione si sfilano, a partire dai cinquestelle: «Il governo sta facendo una figura meschina – assicura Manlio Di Stefano – Per esprimerci aspettiamo il provvedimento, ma l’approccio è sbagliato e siamo contrari». Anche la Lega Nord si tira fuori: «È la solita presa in giro – è opinione di Roberto Calderoli – Occorre fare il blocco navale». Chi invece manda segnali d’apertura è Silvio Berlusconi. «L’accordo con le autorità libiche era e resta l’unica soluzione – giurano i vertici di FI – Decideremo in maniera responsabile».