la Repubblica, 30 luglio 2017
Tredici giorni e 7mila firme per far scattare il referendum che porta i bus sul mercato
ROMA Mancano settemila firme e tredici giorni al possibile “commissariamento politico” di Virginia Raggi su Atac. Il 12 agosto scadono i termini per la presentazione delle 30mila firme che i Radicali Italiani stanno tentando di raccogliere per obbligare la sindaca di Roma a indire un referendum sulla più grande controllata italiana del trasporto pubblico locale. Un appello al quale hanno risposto in tanti, dalle periferie dell’Anagnina e Tor Bella Monaca fino agli scranni del parlamento e del governo (vedi la firma di ieri di Carlo Calenda).
SCADENZA GIUGNO 2018
La raccolta di firme sta incanalando un moto di protesta contro le politiche industriali sostenute dai 5 Stelle, che dopo un anno non sono riusciti a imprimere una svolta alla pluriennale crisi gestionale e finanziaria. In caso di successo della campagna, la sindaca sarà obbligata a indire entro giugno 2018 un referendum che affiderà ai romani l’ultima parola sul modo di affidare il servizio di trasporto pubblico, fino ad ora svolto “in automatico” dall’Atac.
SLALOM DI ATAC
Raggi ha più volte annunciato l’intenzione di interpretare a suo modo i vincoli della legge Madia che impongono di rivedere l’assegnazione del servizio in chiave di liberalizzazione.
OPZIONE IN HOUSE
I termini previsti dalla legge sulla razionalizzazione delle controllate degli enti locali non rappresentano un vincolo per Atac. Il Comune avrà infatti una doppia possibilità: indire una gara aperta ai privati oppure tornare ad affidare il servizio in house, cioè alla società che controlla al 100 per cento. La sindaca ha già fatto capire che seguirà questa seconda ipotesi, compiendo l’ultimo slalom dell’azienda romana intorno ai paletti giuridici che dal 2011 tentano di indirizzarla verso la privatizzazione.
LEGGE 148
Già dal 20111 infatti la legge 148 imponeva agli enti locali la liberalizzazione di alcuni servizi chiave, un indirizzo che è rimasto lettera morta, così come le denunce di inefficienza e gli appelli ad una riorganizzazione di Atac espressi nel 2014 dall’allora commissario alla spending review, Carlo Cottarelli.
Diversi anni dopo, l’amministrazione 5 Stelle è pronta a compiere l’ennesimo slalom, tenendo chiusa ancora una volta ancora la porta ai privati che potrebbero scalzare l’Atac in una competizione aperta.
PRETENDENTI ALLA FINESTRA
Se Atac è un’azienda sull’orlo del fallimento, il servizio di trasporto pubblico locale di Roma rimane infatti un affare. Lo sanno bene i colossi privati che da anni osservano con attenzione gli sviluppi della vicenda. L’ultimo a dichiarare il suo interesse è Ferrovie dello Stato che nel giugno scorso, per bocca dell’amministratore delegato Renato Mazzoncini, ha ribadito di essere disposto a cogliere la sfida. Fs è già partner di Atac nel pacchetto Metrebus, il biglietto unico integrato, e gestisce parte delle linee ferroviarie, ma non è l’unico big interessato al trasporto romano. Il secondo in lizza arriva da Oltralpe e risponde al nome di Ratp, la società che gestisce tutta la rete parigina. I francesi di Ratp hanno presentato un project financing da 400 milioni di euro per la Roma-Lido e la Roma-Viterbo, ma sono stati bloccati dalla Regione Lazio. L’ultimo pretendente è tedesco. È l’ex-gruppo britannico Arriva, confluito nelle Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche.
400 MILIONI DAI BIGLIETTI
I player privati sanno che il paradosso di Atac è tutto nei numeri. L’azienda sull’orlo del fallimento movimenta infatti quasi un miliardo di persone. Un patrimonio che non sa sfruttare perché i ricavi dalla vendita dei biglietti non raggiungono nemmeno i 400 milioni, superati perfino dai costi del personale, che toccano i 500 milioni.
L’equilibrio finanziario vacilla e Atac scivola sul piano inclinato fino all’ultimo bivio: fallimento o privatizzazione.