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 2017  luglio 31 Lunedì calendario

In morte di Cirillo

NAPOLI La prima trattativa Stato- mafia ha una data: 1981. Negli anni bui del terrorismo Napoli fu il teatro di un giallo che coinvolgeva la politica, la camorra e le Brigate rosse. Una vicenda che ora torna con la morte a 96 anni dell’uomo che 36 anni fa fu rapito dalle Brigate rosse, tre anni dopo Aldo Moro. Ciro Cirillo, classe 1921, una lunga carriera nel partito della Democrazia Cristiana, prima presidente della Provincia poi della Regione, infine assessore regionale con la delega più importante dopo il terremoto che ha devastato la Campania nel 1980: i lavori pubblici.
Cirillo aveva creato anche una commissione di tecnici per pianificare la ricostruzione quando, il 28 aprile 1981 i brigatisti guidati dall’ex criminologo fiorentino Luigi Senzani lo rapirono sotto casa, a Torre del Greco, uccidendo due agenti di scorta e gambizzando il segretario del politico. La vicenda finì subito al centro di durissime polemiche: la Dc, a differenza del caso Moro, decise di trattare per ottenere la liberazione. Si diffusero presto ipotesi e illazioni. Sotto un fuoco incrociato di accuse si consumò un altro pezzo di storia degli anni del terrorismo. Nel calderone che vide al centro il politico fedelissimo di un numero uno democristiano, Antonio Gava, finirono in tanti. Un magistrato, Carlo Alemi, che adesso è in pensione, imbastì una difficile istruttoria. Una storia oscura che vide uniti per lo stesso scopo, il ritorno a casa di Cirillo, uomini politici, pezzi di Stato come i servizi segreti e malavita. «E qui, a differenza dell’altra trattativa Stato- mafia di cui si parla – dice il giudice Alemi a “Repubblica” – c’era anche il terrorismo. Se Cirillo non fosse stato rapito, avrebbe gestito i 20mila miliardi in vecchie lire di appalti della ricostruzione». Ma dopo 89 giorni di sequestro, l’ex assessore venne rilasciato dietro pagamento di un cospicuo ricatto e con l’intercessione di “don Raffaele” Cutolo, il boss della Nuova Camorra Organizzata, che dal carcere avrebbe orchestrato la liberazione. L’accordo fu trovato con l’aiuto dei servizi segreti, Senzani chiese una barca di soldi per la “campagna di primavera” del sud. Le dazioni arrivarono da imprenditori ed è facile pensare che il seguito della vicenda siano importanti commesse ed appalti della megatorta post-terremoto.
Un altro mistero lo chiamano “il secondo sequestro Cirillo”: l’ex assessore viene rilasciato dalle Br alla periferia di Napoli, lo stanno scortando in questura, quando una pattuglia di volanti intercetta l’autocolonna e la devia a Torre del Greco, riportando a casa il politico. Dove i magistrati non riescono a incontrarlo («Sta riposando»), a differenza di compagni di partito ai quali viene riconosciuta la possibilità di parlargli subito. Il mistero si infittisce. Quando tutto sembra chiarirsi perché l’Unità pubblica un documento nel quale il Viminale attesta che le visite di esponenti politici come Vincenzo Scotti in carcere da Cutolo ci sono state, tutto si sgonfia e sparisce: il documento è un falso. L’autrice del falso scoop caduta in trappola è una giornalista napoletana, Marina Maresca, processata poi con il direttore Claudio Petruccioli. Saranno assolti, ma nel frattempo sono stati costretti a dimettersi e hanno perso il lavoro. Il responsabile del Viminale, Virginio Rognoni, intanto però ammette il pagamento del riscatto ma nega la trattativa con camorra e terroristi. La libertà di Cirillo è costata quasi un miliardo e mezzo di lire. Ma si parla anche di altro denaro e di un intero arsenale promesso ai brigatisti.
Nel 1988 il giudice Carlo Alemi deposita gli atti della sua inchiesta e a Roma scoppia il caos: l’opposizione chiede le dimissioni di Gava, nel frattempo succeduto a Rognoni come responsabile del Viminale nel governo presieduto da De Mita. Il premier definisce il giudice istruttore «al di fuori del circuito costituzionale». Ma Cutolo al processo conferma l’interessamento della Dc, il suo intervento di mediazione e l’influenza che ha avuto sui terroristi con la minaccia di rappresaglie. Una sentenza del 1993 parla senza mezzi termini di trattativa della Dc con le Br per il tramite della camorra. Ma Cirillo fino all’ultimo nega, ammette di essere a conoscenza dell’intercessione dei soli servizi segreti «ma non so per conto di chi». E gioca un ultimo tiro mancino. Dopo aver dichiarato nel 2001 a Giuseppe D’Avanzo che lo intervista per “Repubblica” che la sua verità «è depositata da un notaio e uscirà fuori solo dopo la morte», cambia versione. «È stato un bluff – rivela due anni fa – Lo dissi per sviare i giornalisti che mi stavano addosso, ma non c’è nessuna verità nascosta».
Per Alemi il caso è chiaro, dice ancora: «La prima trattativa Stato-mafia-terrorismo è stata confermata in più sedi ufficiali. Per me fu molto difficile lavorare a quell’epoca su questa vicenda: avevo il telefono intercettato e a tutti dicevo che non avevo trovato nulla. Forse proprio per questo mi hanno lasciato andare avanti». I funerali oggi a Torre del Greco, alle 16.30.