La Lettura, 30 luglio 2017
Elio Pecora, autobiografia per interposta persona
Per sua natura la poesia sembra possedere la vocazione delle questioni decisive. Molto porta a pensarlo, almeno. Certo, il suo spettro visivo può comprendere tutto quanto compete all’umano, e dunque anche ciò che è occasionale, contingente, interlocutorio. Eppure il poeta, e forse anche il lettore di poesia con lui, appare quasi sempre una specie di cacciatore di momenti essenziali per intensità e verità. La sua ambizione più riposta – così almeno mi pare – è di giungere a dar forma a qualcosa d’integrale e di compiuto; a qualcosa, insomma, che contenga in sé la cifra intera di quello che intendiamo come destino.
E proprio questa parola, destino, s’incontra quasi all’inizio del poemetto che Elio Pecora aveva composto qualche anno fa dopo la scomparsa della centenaria madre Elena (a cui appunto è dedicato), e che ora viene presentato nella sua forma completa all’interno del volume Nel tempo della madre e altre poesie perse e disperse, uscito per le edizioni La Vita Felice. In verità Pecora è un poeta capace di notevoli poesie d’occasione. Da buon allievo di Saba e di Penna ha un’idea della poesia tutt’altro che esclusiva o istituzionale. E, anzi, sa bene che la poesia non può che scorrere nella vita di tutti i giorni per affiorare qui e là imprevedibilmente, magari per puro capriccio, anche se sempre, altrettanto infallibilmente, ad altezza d’uomo. Giocate su registri diversi (commozione, scherzo, ironia), alcune belle riuscite si possono trovare anche tra le poesie perse e disperse di questo libro, ad esempio tra i componimenti con dedica (a Elio Pagliarani, Giorgio Devoto e Anna Cascella primi fra tutti), oppure in liriche come Canzone, Divagazioni sul niente, Lettera di demerito o la metapoetica Parole.
Detto questo, resta pur vero che con Nel tempo della madre Pecora ha affrontato di petto alcuni temi o questioni radicali: le radici, la provenienza e la destinazione, il sentimento di perdita, i tentativi di riparazione, tra i quali anche e soprattutto la scrittura poetica, lungo quell’«aspro amato viaggio/ che non s’è ancora compiuto» e che coincide poi con il tempo della vita. Il poemetto è costruito nel più classico (il periplo, il nostos ) e insieme più novecentesco, e dunque anche più freudiano dei modi: come racconto della «perdita», del «distacco» dalla madre – la madre «unica immedicata nostalgia», la madre «paradiso/ giardino» – e come ininterrotto tentativo di ricongiungimento lungo le strade del mondo. E affatto tipici della grande tradizione lirica, in particolare di quella antichissima dell’epicedio, sono i moduli su cui si sostiene il racconto: l’elegia, il richiamo alla memoria, la lode, la domanda sulla cancellazione operata dal tempo (il cosiddetto ubi sunt? ).
Va subito detto, allora, che con la sua voce sobria e schietta Pecora riesce a raccontare in modo convincente una vicenda che è soltanto sua ma che pure appartiene a tutti, in quanto tutti sapevamo in qualche modo di conoscerla. Appartengono alla sua storia familiare, anzitutto a quella della madre, i riferimenti puntuali, le persone, gli scenari, i tempi e i luoghi, dall’origine nella provincia salernitana alla lunga diaspora che ne è seguita. E appartengono soltanto ai due protagonisti, in quella che può anche considerarsi un’autobiografia allo specchio o per interposta persona, gli sguardi, il contatto, i silenzi, le parole. Eppure non si può non sentire al di sotto di tutto la sicurezza e la forza dello schema fisso, della situazione universale e invariabile (altri direbbe dell’archetipo). Davvero leggendo questi versi la conoscenza di una storia nuova e diversa non si può distinguere da un riconoscimento: «in quel punto ciascuno/ si dà un nome e un cammino,/ vi conserva il bagaglio/ pesante, rattoppato/ che chiamano destino». Alcuni particolari riescono memorabili, a partire dal santo bambino che in una campana di vetro pesca un «cuore di rosso corallo». Fin dall’infanzia dev’essere stata proprio questa la vera immagine di paradiso del poeta, la figura perfetta la cui ricerca ha ispirato tutte le altre figure, tutti gli amori, tutte le parole.