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 2017  luglio 30 Domenica calendario

Qual è il piano B per fermare Kim Jong-un

È sempre la stessa scena, con gli attori che ripetono – a memoria – la loro parte in un teatro particolare: la penisola coreana. Muscoli, minacce, ordigni che partono ma nessuno sa bene come cambiare il finale. Che potrebbe, un giorno, essere pessimo. Per questo Washington e Seul si agitano. Donald Trump accusa la Corea del Nord di atteggiamento «pericoloso». Il Sud, insieme agli americani, ha condotto esercitazioni a fuoco sparando missili. Il Pentagono annuncia l’apertura di una gigantesca base nel Paese alleato: costata 11 miliardi di dollari, quando sarà terminata ospiterà 45 mila persone, in gran parte soldati che dovranno fare da scudo. Una specie di città, con scuole, negozi, ristoranti ma soprattutto apparati per potenziare la difesa del Sud in una fase estremamente rischiosa.
Kim Jong-un, dopo l’ultimo lancio di un vettore intercontinentale, ha avvertito: «Possiamo colpire l’intero territorio americano, non importa quando e come». Una valutazione che, pur condita di propaganda, è giudicata credibile da un esperto serio come David Wright: è vero, i nordcoreani sono in grado di raggiungere Los Angeles, Denver, Chicago e forse anche Washington e New York. Certo, restano ancora dubbi sulla testata, ma nessuno è disposto a sottostimare gli scienziati di Pyongyang. Sono svegli e preparati.
Le mosse del dittatore
Lo scenario che tutti paventano è il giovane Maresciallo con in mano un arsenale completo con il quale può lanciare ricatti nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa. Se avrà un lungo braccio strategico proverà ad usarlo con una doppia chiave: per garantire vita eterna al suo potere, per tenere a bada gli avversari. Il leader è convinto che solo così eviterà di essere rovesciato e non farà la fine di Saddam e Gheddafi. Da qui l’ordine di procedere avanti tutta con spinta economica e bellica, un binario che ha portato a risultati concreti.
Paura nucleare
Entro il 2018 – afferma l’intelligence Usa – potrebbero arrivare ad una carica nucleare con la quale armare l’ordigno. Il punto di non ritorno è stato raggiunto e giustamente i media di regime diffondono immagini del dittatore raggiante durante l’ultimo test. La nuova versione dello Hwasong-14 ha volato per 47 minuti, ad una distanza di quasi mille chilometri e ad un’altezza di 3.724 chilometri. Parametri, che una volta verificati, aumentano i timori sulle capacità belliche del regno rosso. Che ha combinato la tecnica dei suoi ingegneri con la consulenza di amici esterni. Ha trafficato e comprato per avere il know how. Ieri il segretario di Stato Usa Tillerson ha sottolineato come Russia e Cina abbiano responsabilità «speciali». Non è un segreto: il Nord ha beneficiato della loro collaborazione diretta o indiretta. Reperti recuperati in mare, indagini internazionali e lavoro di spionaggio hanno raccolto prove sulla collusione. Ma oltre a questo alla Casa Bianca sono nervosi perché non sanno bene cosa fare. Hanno sperato nel ruolo calmierante di Pechino, però fino ad oggi non si sono visti i risultati mentre i cinesi continuano a invocare moderazione. Solo che questa linea d’attesa ha favorito Kim, risoluto come non mai, e sono sempre forti i sospetti che la Cina non abbia alcuna fretta nel tenere a freno il regime. Ecco che allora gli alleati oltre al piano A, diplomazia e solite sanzioni, preparano anche il piano B. La Corea del Sud vuole aumentare la potenza di fuoco – le manovre di queste ore con l’uso di missili balistici e tattici sono un segnale —, insiste con una cooperazione più stretta con gli Usa che, fanno sapere, studiano «opzioni militari». Termini classici, abbastanza vaghi da lasciare margini di manovra per non finire intrappolati in un meccanismo di azione-ritorsione.
I rischi di un conflitto
Ormai è noto: anche un «semplice» conflitto convenzionale lungo il 38esimo parallelo provocherebbe un’ecatombe, con civili spazzati via dalle centinaia di cannoni e razzi puntati da Kim contro il Sud. I successi missilistici non devono però far dimenticare i seri problemi cronici che affliggono il «paradiso» nord coreano: la siccità ha colpito duramente l’agricoltura e dunque le sempre scarse scorte alimentari potrebbero non bastare.