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 2017  luglio 30 Domenica calendario

«Le regole dell’Europa le decidono i governi. Come per il fiscal compact». Intervista a Olli Rehn

Olli Rehn, finlandese, 55 anni, è stato commissario europeo alle Imprese, all’Allargamento della Ue e agli Affari economici e finanziari, il più giovane componente dell’allora Commissione Barroso. Poi eurodeputato, e ministro dell’Economia a Helsinki. Ora siede nel board della Banca centrale finlandese. E da lì, continua a seguire i complicati eventi dell’Ue.
Oggi si discute molto in Italia sulla «paternità» o «maternità» del fiscal compact, o sul ruolo di Mario Draghi e Angela Merkel, mentre l’ex premier Matteo Renzi accusa Mario Monti di «non aver saputo negoziare in Europa». Lei era a Bruxelles in quegli anni, come andò?
«Posso fornire alcuni fatti tratti dalla mia memoria e dall’esperienza empirica. Ma mi lasci, intanto, fissare due punti su questo».
Prego.
«Primo, le decisioni di politica monetaria della Banca centrale europea, incluse quelle relative agli acquisti di titoli, sono prese esclusivamente sulla base della loro efficacia nell’ottenere l’obiettivo della stabilità dei prezzi. E così dev’essere. Io l’ho sperimentato in veste di membro non-partecipante, rappresentante la Commissione europea, agli incontri del Consiglio direttivo della Bce nel 2010-2014. Ero là quando le decisioni sulle Omt (interventi della Bce sul mercato dei titoli di Stato dell’eurozona, ndr ) furono prese nell’agosto e settembre 2012, dopo il discorso ora leggendario di Mario Draghi a Londra, il discorso dell’ a qualunque costo».
E che cosa ricorda?
«Posso testimoniare che queste decisioni cruciali, come i Piani di finanziamento a lungo termine e più tardi il Quantitative easing, furono prese dal Consiglio direttivo in assoluta indipendenza. Nella consapevolezza di una possibile resistenza politica, furono azioni coraggiose e astute, oltre che decisive, come sappiamo. Non mi risultano accordi politici o intese su queste decisioni indipendenti della Bce».
E il fiscal compact?
«La paternità (o maternità) del fiscal compact appartiene ai capi di Stato o di governo, È un trattato intergovernativo. Non è stata un’iniziativa della Commissione europea, ma di alcuni Stati-membri, e firmata da 25 Stati su 27. Un’iniziativa contigua alla riforma six-pack della governance economica (regolamenti Ue sul patto di Stabilità e di crescita, che prevedono fra l’altro il limite del debito pubblico al 60% del Pil, ndr ), lanciata nella primavera 2010 e basata sul metodo comunitario. È questo che la Commissione ha applicato nella sorveglianza economica, sia sulla politica di bilancio sia sugli squilibri macroeconomici».
Torniamo all’Italia. Qual è la sua opinione sul governo presieduto da Mario Monti, che governava a Roma quando lei era commissario europeo a Bruxelles?
«Credo che i suoi sforzi determinati, sia sulle questioni di bilancio che sulle riforme strutturali, siano stati – oltre che necessari per l’economia italiana – anche utili per riguadagnare la fiducia del mercato e tenere a bada gli spread e i Cds (strumenti finanziari derivati, ndr ). Obiettare al fiscal compact, e quindi alla creazione del Meccanismo europeo di stabilità che era legato a questo nel Consiglio, sarebbe stato significativamente negativo per l’Italia, in quanto il Meccanismo europeo era visto come cruciale nel gestire la crisi del debito sovrano, e nel contenere il contagio ad altri Paesi vulnerabili».
«Il peggio è passato», ha detto lei recentemente guardando alla situazione europea, e i dati economici lo confermano…Ma la disoccupazione? E il populismo?
«Lo sviluppo positivo dell’economia è un fattore importante anche contro l’ingiustificato populismo. Quando le cose migliorano, i sacrifici fatti diventano più comprensibili per la gente. L’Italia è nel suo terzo anno di moderata ripresa. La fiducia vi sta ritornando. Il tasso di disoccupazione è ancora relativamente alto, e proiettato a restare sopra l’11% secondo la maggior parte delle previsioni. Ma ciò è dovuto in parte a un tasso più alto di partecipazione al lavoro. I rischi associati recentemente all’Italia sono stati l’incertezza politica e il lento assestamento del settore bancario».
Ma oggi è possibile una politica di bilancio meno rigida, come chiedono vari partiti in Italia? Renzi, per esempio, propone un deficit al 2,9% del Pil…
«Per Paesi come l’Italia e la mia natia Finlandia, è essenziale continuare a ridurre il rapporto fra debito pubblico e Pil; la crescita è cruciale ma non sufficiente da sola, è necessario anche un consistente consolidamento delle finanze per la sostenibilità dei conti pubblici. Quanto alle regole di bilancio, vorrei precisare qualcosa».
Prego…
«In effetti, non stanno lì per nulla. Se un persistente deficit di bilancio e il debito pubblico fossero la ricetta per una rapida crescita economica, allora Stati come la Francia e l’Italia sarebbero campioni europei in questo campo. Così come il Giappone sarebbe la prima potenza economica del mondo, e la Finlandia – nella sua impasse fino al 2015 – la campionessa nordica della crescita. Ma non è questo il caso. Ciò che questi Paesi hanno in comune è una certa mancanza di buona volontà per le riforme strutturali in passato. Questo sembra ora cambiare con il perseguimento delle riforme, della crescita e dei posti di lavoro: non è il tempo del catenaccio ma del gioco di squadra creativo, offensivo, per segnare goal». ( ndr : Olli Rehn è stato in gioventù un giocatore di calcio nella serie A finlandese).