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 2017  luglio 31 Lunedì calendario

In morte di Cirillo

NAPOLI Quella trattativa, almeno, nessuno la può negare. C’è una sentenza definitiva che la ammette. Non solo Stato-mafia, perché la camorra è una mafia al pari di Cosa Nostra. Ma anche Brigate Rosse. Un incrocio a tre con un riscatto miliardario da una parte e gli appalti per la ricostruzione post-terremoto dall’altra. Ci guadagnarono, in denaro, molto le Bierre del Partito Guerriglia e moltissimo la camorra di Raffaele Cutolo. Cosa ci guadagnò lo Stato non lo ha mai spiegato nessuno. La Democrazia cristiana invece ci guadagnò che nulla accadesse. Che Ciro Cirillo, potente notabile campano legato all’allora potentissimo Antonio Gava, vivesse e tacesse. E infatti lui ha sempre taciuto.
Ed è vissuto ancora tanto, dopo quel sequestro che durò dal 27 aprile al 24 luglio del 1981. All’epoca aveva sessant’anni e sembrava già vecchio. Ieri, quando si è spento nella sua casa di Torre del Greco, ne aveva 96. È vissuto altri 36 anni negando e tacendo. Negando che ci fu la trattativa – pure se la sentenza di secondo grado del processo per il suo sequestro, confermata in Cassazione, la ammetteva chiaramente – e tacendo i motivi per i quali il partito che solo tre anni prima non si era smosso dalla linea della fermezza sacrificando la vita di Aldo Moro, aveva cambiato radicalmente atteggiamento per salvare lui, ex presidente della Provincia di Napoli e della Regione Campania, e al momento del sequestro assessore regionale all’Urbanistica.
In una intervista a Giuseppe D’Avanzo, Cirillo disse che quello che aveva da dire lo aveva scritto e consegnato a un notaio incaricato di rendere noto il testo solo dopo la sua morte. Ora, dunque, sarebbe arrivato il momento, ma chissà se quel memoriale esiste davvero, perché poi fu lo stesso Cirillo a negarlo. 
Non ci conta molto il magistrato Carlo Alemi, che istruì il processo Cirillo e per aver scoperchiato la trattativa si ritrovò addosso le accuse della Dc, con De Mita che in Parlamento lo definì un «giudice al di fuori del circuito costituzionale»: «Non so se Cirillo ha davvero lasciato qualcosa a un notaio, vedremo. So però che un uomo come Antonio Sibilia (che fu presidente dell’Avellino negli anni della serie A e portò il suo goleador Juary a omaggiare Cutolo durante un processo, ndr ), quando lo interrogai dopo il suo arresto, fu molto chiaro. E mi spiegò che tutti gli accordi per gli appalti della ricostruzione furono decisi durante la trattativa per liberare Cirillo».
Una trattativa che portò uomini dei servizi segreti ad entrare e uscire dal carcere di Ascoli Piceno dove era rinchiuso Raffaele Cutolo e dove, con un tesserino rilasciato dagli stessi Servizi, entrava quando voleva anche Vincenzo Casillo, braccio destro del boss della Nco, poi ucciso in un attentato a Roma. Ad Ascoli furono trasferiti anche i brigatisti che tennero i contatti con Cutolo e che poi riportarono le proposte ricevute agli altri componenti del Fronte delle carceri, rinchiusi all’epoca quasi tutti nel supercarcere di Palmi.
Fu così che all’alba del 24 luglio Cirillo fu liberato, lasciato in un palazzo abbandonato di via Stadera, nel quartiere napoletano di Poggioreale, la stessa strada dove il 23 novembre del 1980 c’era stato l’unico crollo provocato a Napoli dal terremoto. Forse fu una scelta simbolica. Non fu simbolico invece l’ammontare del riscatto, un miliardo e 450 milioni di lire, raccolti, secondo la versione ufficiale diffusa all’epoca, tra generosi amici dell’assessore rapito.
Sulla scelta di incassare il riscatto si consumò una tappa di quella che sarebbe poi stata la rottura tra brigatisti, con il Partito guerriglia capeggiato da Giovanni Senzani (che gestì il sequestro) da una parte e il Partito comunista combattente di Moretti dall’altra.