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 2017  luglio 30 Domenica calendario

Schiele e Wally l’amore sull’abisso. Nel dipinto La morte e la fanciulla, del 1915, l’artista rappresenta l’angoscia per la separazione dalla sua modella-musa

Su tutto c’è quell’occhio sbarrato, centro gravitazionale che buca lo schermo pittorico e colpisce al cuore chi guarda. Poche opere d’arte trasmettono un senso raggelante di angoscia come La morte e la fanciulla di Egon Schiele conservata al Belvedere di Vienna. Dipinta nel 1915 sulla scia di un motivo iconografico di origine rinascimentale, la tela mostra un uomo e una donna contorti su un lenzuolo-sudario spiegazzato, adagiato su un irreale fondo roccioso che sembra isolarli nella loro muta desolazione. Lui indossa una specie di saio marrone e con una ossuta mano cadaverica tiene la testa fulva di lei appoggiata sul suo petto, mentre l’altra mano si allunga sulla spalla della ragazza, che lo cinge mollemente, quasi a trattenerne l’abbraccio.
La tematica e la composizione ricordano La sposa del vento dipinta un anno prima da Oskar Kokoschka, a celebrazione della propria morbosa passione per Alma Mahler, ma nel quadro di Schiele ogni estasi amorosa è assente, così come ogni possibile comunicazione tra le due figure che appaiono cristallizzate ognuna nella propria solitudine senza scampo. Lo sguardo della ragazza fugge verso l’esterno, perso nei suoi pensieri. Quello dell’uomo è spalancato sull’abisso che ha dentro di sé.
Una coppia in fuga
I personaggi rappresentati sono lo stesso Schiele, all’epoca venticinquenne, e la sua fedele modella-musa-amante Wally Neuzil, di quattro anni più giovane. Ma due altre figure si possono congetturare, nella mente dei protagonisti: Gustav Klimt, il maestro della Secessione viennese, il mentore di lui per cui lei aveva posato, quando era poco più che adolescente, e con cui forse aveva avuto una relazione; e Edith Harms, la nuova fiamma di Egon che per questa ragione stava abbandonando Wally. Il quadro mette in scena lo sgomento per la fine di un amore, ma è insieme il presagio di altre fini, della catastrofe incombente di un mondo e di un’epoca.
I due si erano conosciuti nel 1911, quando lei non aveva ancora 17 anni. Il giovane astro nascente dell’Espressionismo l’aveva forse incontrata nello studio di Klimt, o forse l’aveva avvicinata per strada, o nel parco di Shönbrunn, come era solito fare per reclutare le sue modelle. Di lei si sa poco, nonostante il suo volto e soprattutto il suo corpo ci siano famigliari attraverso le opere di Schiele (al loro rapporto il Leopold Museum di Vienna ha dedicato una bella mostra nel 2015). Perfino il suo vero nome, Walpurga, è stato appurato soltanto qualche anno fa – prima si pensava fosse Valerie. Era nata nel 1894 a Tattendorf, nella Bassa Austria, in una famiglia di modesta estrazione che dopo la morte del padre, insegnante di liceo, nel 1906 si era trasferita nella Vienna godereccia dell’epoca, dove la linea di confine tra una modella e una prostituta era sempre incerta. Nella miseria maturavano fin troppo facilmente le condizioni per scelte di vita socialmente infamanti, anche se non è provato che Wally sia mai stata una Grabennymphe, come erano chiamate le ragazze che offrivano i loro servigi nella via centrale della città.
Per sfuggire alle malelingue viennesi, e in cerca di una sistemazione più a buon mercato, i due si erano trasferiti a Krumau, nel Sud della Boemia (oggi Repubblica Ceca), il villaggio natale della madre di Egon. L’ostilità degli abitanti, che disapprovavano lo stile vita dell’artista e della sua compagna, e ancor più l’utilizzo di modelle minorenni, li aveva però convinti a cambiare nuovamente aria. E così la coppia bella e scandalosa aveva trovato rifugio a Neuglenbach, 35 chilometri a Ovest di Vienna.
Eros e thanatos
Oltre a posare, Wally amministrava i conti di casa, teneva i contatti con i galleristi, e arrotondava lavorando via via come commessa, cassiera, indossatrice. Ma in questo villaggio, nell’aprile del 1912, a Schiele toccò l’onta del carcere, per tre drammatiche settimane, con l’accusa di avere rapito e sedotto una modella tredicenne. «Devo vivere con i miei escrementi, respirare la loro esalazione velenosa e soffocante. Ho la barba incolta, non posso nemmeno lavarmi a modo. Eppure sono un essere umano!», urlava nel suo Diario del carcere. Al processo venne assolto, ma gli furono inflitti tre giorni supplementari di detenzione per l’esibizione di immagini pornografiche in presenza di una adolescente.
Il sesso sfrontatamente esibito, il crudo erotismo che si sprigiona dai nudi colti in improbabili posture acrobatiche, ma che invariabilmente rimanda a thánatos («nella vita tutto è morte», annota in una pagina), è la cifra ossessiva dell’artista. Introdotto alle dottrine di Freud dall’amico Max Oppenheimer, Schiele scava nell’inconscio dei suoi soggetti, tra i quali spicca lui stesso, per scomporne l’unità di facciata e far emergere quell’inquietudine e quel senso di precarietà che sono i medesimi di una grande fase storica al tramonto, quando l’antico ordine viene meno e sotto la fragile crosta erosa delle rispettabili certezze «perbene» freme la vitalità scomposta di un mondo nuovo e minaccioso. «Il mio vagabondare conduce all’abisso», annota l’artista in una lettera del 1912.
E tuttavia anche lo scandaloso, il provocatore Schiele, che nel frattempo si è definitivamente imposto sulla scena artistica, a un certo punto cede al boccheggiante conformismo perbenista. «Sto pensando a un matrimonio vantaggioso. Non con Wally», scrive nel febbraio del 1915 all’amico critico Arthur Roessler. Pochi mesi prima ha conosciuto due sorelle della media borghesia, Adele e Edit Harms, figlie di un fabbro, che vivono a Vienna – dove è infine tornato – nella stessa Hietzinger Hauptstrasse in cui ha il suo studio. Per qualche tempo frequenta di nascosto Edith, illudendosi di poter tener il piede in due staffe, finché la ragazza gli impone l’ultimatum: o lei o me. E Schiele si decide per la più socialmente presentabile Edith. Ma non si rassegna alla perdita di Wally: le propone di continuare a vedersi per una vacanza insieme ogni anno. Questa volta però è lei a dirgli di no, e a sparire per sempre dalla sua vita. Il 17 giugno 1915 Egon e Edith si sposano, tre giorni dopo lui parte con l’esercito austriaco impegnato allo spasimo nella Grande guerra, seguito dalla moglie spostamento dopo spostamento.
Il dolore per il distacco da Wally resta fissato nel dipinto La
morte e la fanciulla, dove l’artista, bloccato in una situazione senza via d’uscita, si raffigura nella medesima posa (e con simile occhio sbarrato) di un acquerello conservato all’Albertina di Vienna, Prigioniero!, risalente alla disavventura giudiziaria del 1912. Schiele dà a sé stesso il nome di morte, ma nonostante i tormenti che lo affliggono vuole disperatamente vivere e creare: «Per l’arte e per i miei cari, resisterò fino alla fine», aveva scritto in un altro autoritratto dei tempi del carcere.
Ma la fine doveva venire presto, per lui, per tutti.
Addio felix Austria
Dopo il trauma della separazione, nei lunghi mesi che scandiscono inesorabilmente le tappe della finis Austriae, Wally cerca la via della rispettabilità sociale iscrivendosi a un corso da infermiera e prestando servizio nell’ospedale militare di Vienna. In un impeto di espiazione, nel 1917 parte volontaria per la Dalmazia, dove nel mese di dicembre si ammala di scarlattina e a Natale muore, a 23 anni.
Pochi giorni dopo, l’11 gennaio, di ritorno da un viaggio in Romania Gustav Klimt è colpito da un ictus. Si spegne il 6 febbraio, a 55 anni, lasciando a Schiele il primato di artista austriaco più in vista. Che tuttavia non si godrà a lungo.
Nell’autunno del 1918 la febbre spagnola, che mieterà non meno di 50 milioni di vite in tutto il mondo (più del doppio della Grande guerra), raggiunge Vienna. Edith si ammala e il 28 ottobre muore, portando con sé il bambino che da sei mesi ha in grembo.
Egon, che l’ha accudita e ritratta senza posa fino all’ultimo sul letto di dolore, non sfugge al contagio e muore tre giorni dopo, il 31 ottobre.
Il 3 novembre l’Austria-Ungheria, distrutta militarmente e scossa politicamente dalle insurrezioni, firma l’armistizio con l’Italia. È la capitolazione dell’impero asburgico, orfano da due anni del suo kaiser Franz Josef. Le potenze del disordine che caparbiamente fino all’ultimo la vecchia madre di Francesco Ferdinando Trotta, il protagonista della Cripta dei cappuccini di Joseph Roth, aveva tenuto a bada con il suo vecchio bastone, sono ormai inarrestabili. Il sudario su cui Schiele aveva inscenato l’ultimo abbraccio con Wally si chiude per sempre sulla felix Austria.