La Stampa, 29 luglio 2017
Roma rassicura Parigi sui cantieri: «La tecnologia Stx non andrà in Cina»
La linea del governo, in vista dell’incontro di martedì col ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, è chiara: «Si tratta su tutto, tranne che su un punto: la quota di controllo di Stx spetta a Fincantieri». Posizione sostenuta dal partito di maggioranza, che magari avrebbe voluto che ci presentassimo al tavolo coi francesi per discutere del controllo dei cantieri del Nord Atlantico con un’arma di pressione in più: quella minaccia di nazionalizzare la rete Telecom, rilanciata ancora ieri da Orfini e appoggiata dal leader Pd Renzi. Del resto, come sostiene la ministra della Difesa Roberta Pinotti, «si tratta di fatti gravi, che mettono in dubbio l’idea di una difesa europea».
Diplomazie al lavoro
Nei contatti a più livelli che precedono il vertice bilaterale, dopo che Parigi ha annunciato di voler prendere «temporaneamente» il controllo di Stx per spuntare maggiori garanzie, a livello di governo si cerca di trovare una quadra che salvi l’interesse italiano e la faccia di Macron. Occorre rafforzare gli impegni su occupazione e investimenti? Vogliamo trovare i meccanismi più stringenti per evitare il trasferimento di tecnologia a paesi terzi? In pratica è già stato tutto messo nero su bianco, ma il governo italiano è pronto a discuterne ancora nella speranza che al dunque i francesi possano fare marcia indietro. Secondo voci che rimbalzano da Parigi, del resto, lo stesso Le Maire non sarebbe convinto a pieno della mossa del suo presidente e punterebbe a correggere quello che considera un errore frutto delle promesse fatte in campagna elettorale. Intanto però l’offerta di Parigi, che entro oggi deve esercitare il suo diritto di prelazione sul 66,6% del capitale, prevede un controllo paritario 50 a 50 ed un consiglio di amministrazione diviso esattamente a metà. Ai soci italiani sarebbe però riservata la nomina dell’ amministratore delegato e del presidente a cui verrebbe attribuito un doppio voto in cda allo scopo di superare eventuali impasse.
Il nodo delle garanzie
Agli italiani, che avevano già accettato di scendere dal 66,6 al 54-55%, però questa soluzione non basta: insistono per avere almeno il 50% più uno delle azioni. «E su questo non si arretra di un millimetro», continua a ripetere Calenda. Si cerca poi di interpretare il Macron-pensiero nel momento in cui evoca con tanta enfasi l’interesse nazionale. Finora l’impressione è che punti solo a recuperare nei sondaggi.
Le famigerate «garanzie» Fincantieri le ha già fornite tutte, a partire dall’impegno di non aumentare per otto anni la propria quota nel capitale di Stx e di mantenere i livelli occupazionali invariati per 5; sino al diritto di veto assegnato per vent’anni (20!) ai soci francesi sui rischi di ridimensionamento del sito produttivo o delle attività di ricerca; sul trasferimento di brevetti e know how e su qualsiasi tipo di operazione, comprese partnership o nuove acquisizioni, che possano risultare contrarie agli interessi francesi in tema di difesa nazionale.
E se a Parigi temono che la joint venture sulla crocieristica siglata da Fincantieri coi cinesi di Cssc possa comportare un trasferimento improprio di tecnologie, anche su questo il governo è pronto a discutere e a limare ulteriormente gli accordi. Basterà una nuova clausola blocca-Cina a convincere Parigi? È la via che si cerca di praticare in queste ore, forti del fatto che nessuno può accusare l’Italia di parteggiare per Pechino, vista anche la battaglia condotta praticamente in solitaria proprio da Calenda in Europa contro il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina.
Il pressing del Pd
Il Pd, intanto, fa la parte del poliziotto cattivo per sostenere il governo nella sua trattativa. La rappresaglia evocata da Orfini, ovvero nazionalizzare la rete Telecom, è stata concordata con Renzi, tanto che il segretario ha pubblicato il post del presidente del partito sul suo sito Democratica. Un’operazione mediatica fatta con garbo istituzionale senza troppo clamore, per lanciare un segnale a chi di dovere, in una sorta di gioco delle parti con il governo. Anche perché – ed è questa la parte più delicata della questione – i vertici del partito, nella persona del suo segretario e non solo, tengono a freno una palpabile insofferenza per l’eccessiva debolezza della reazione di Gentiloni. «Ma Matteo non vuole far polemiche», assicurano i suoi uomini, «è chiaro che lui ha un altro stile di combattimento, e forse si aspettava una cosa diversa, ma ha chiesto a tutti di restare fermi sulla linea del niente polemiche, stiamo uniti».
Dunque il Pd ora sta a vedere come si sviluppa la trattativa, «vedo che hanno provato ad abbassare i toni, dicendo di voler ricucire, ma l’atto resta», fa notare il presidente del Pd. «Noi restiamo dell’idea che non sia impraticabile una nazionalizzazione della rete Telecom», rilancia Orfini. Facendo capire che può servire porre una pistola sul tavolo per ottenere qualcosa. Dopodiché la valutazione condivisa tra presidente e segretario è che «siamo in un’oggettiva condizione di debolezza, ma lo è il Paese e non per responsabilità del governo, siamo a fine legislatura e con un Parlamento sfibrato...».