La Stampa, 28 luglio 2017
Un mese senza luce, soldi, né vestiti Ecco il raduno degli ultimi hippie. In tremila da tutta Europa nei boschi del Friuli
«Benvenuto: chiunque tu sia, questa è casa tua». La scritta ti accoglie in una gigantesca radura, dopo quattro ore di ascesa a piedi sulle montagne di Tramonti di Sopra, nel Pordenonese, alle porte della Carnia. Per i tremila partecipanti al raduno europeo della «Famiglia Arcobaleno», anche l’impervia salita fa parte del cammino di purificazione spirituale che riporta a contatto pieno con la natura e l’ambiente.
Arrivano da ogni angolo del Vecchio Continente, ma ci sono anche un indonesiano e un australiano. Gli italiani sono circa un terzo, ma è impossibile fare una stima esatta: non c’è alcun censimento ufficiale; nel cerchio attorno al grande fuoco può entrare chiunque. Basta rispettare tre semplici regole: non si usano alcol e droghe, si lasciano fuori convinzioni politiche e religiose, si condivide tutto.
Non circola denaro, salvo due volte al giorno quando i bambini – sono tantissimi, pure neonati – passano con il «cappello magico» per raccogliere le offerte per acquistare gli alimenti per i pasti, rigorosamente vegani. Capita che qualcuno non abbia risorse da inserire nel cilindro, ma vanno bene anche un semplice abbraccio o un bacio. Lo snodo logistico è in un parcheggio all’ingresso del paesino friulano che conta trecento anime: un decimo degli ospiti che resteranno in quota per un mese, la durata di un intero ciclo lunare. I «fratelli» e le «sorelle» arrivano con i mezzi più disparati, moltissimi dopo giorni interi di autostop, perfino dalla Lituania. Dopo una sosta tonificante, un trattore conduce al primo «Welcome» e trasporta i bagagli con l’essenziale: un sacco a pelo, magari una tenda – ma non è indispensabile, il ricovero notturno si condivide con chi non ce l’ha -, una scodella per pranzi e cene e un bicchiere vuoto. Da quel punto si va rigorosamente a piedi, zaini e neonati in spalla. Nei primi due giorni di raduno sono già arrivate cinque donne incinte; due anni fa una gestante partorì sotto il Tepee che svetta nei pressi del grande fuoco.
Sulla soglia del campo ci si toglie le scarpe, e non solo: le calzature portano impurità, ma anche i vestiti sono un optional. Non c’è una regola, ma la nudità è una routine. La tecnologia è demonizzata, escluso un unico telefono satellitare per le emergenze sanitarie. Nella «Famiglia Arcobaleno» ci sono medici e infermieri, ma sono vietati i farmaci, salvavita a parte. L’approccio è quasi esclusivamente olistico: il raduno è considerato curativo di per sè, perché è la natura che regala il miglior benessere psico-fisico. Banditi i detersivi e la carta igienica: ci si lava nelle gelide acque del torrente e per sterilizzare le zone delle latrine si usa la polvere del sacro fuoco, nel quale brucia solo legna depurata da insetti.
Il tempo è scandito dal sole, perché non ci sono orologi: cerchi a parte – durante i quali si assumono decisioni all’unanimità, usando un bastone sul modello degli indiani che passa nelle mani di ognuno e si può sollevare per segnalare un dissenso – per il resto la libertà è assoluta. Ma ognuno porta un contributo: chi prepara la legna, chi i pranzi, chi regala massaggi o corsi yoga. La musica è suonata unicamente dal vivo, la lingua comune è l’inglese ma il sorriso sopperisce quando le conversazioni diventano difficoltose.
L’invasione della «Famiglia Arcobaleno» è stata accolta con entusiasmo dalla popolazione locale: la Pro loco ha fatto spazio nel magazzino vivande per stivare tonnellate di cibi biologici. Per trasportarli al Passo è stato usato anche un elicottero che ha fatto la spola dal fondovalle. La gente è stata contagiata dal clima di allegria: «Persone perbene – dice Frederic Urban, che gestisce l’unico locale in zona -. Mai visti così tanti turisti in vita nostra. Questi giovani ti fanno ben sperare per il futuro. Problemi perché girano mezzi nudi? Lassù faranno ciò che vogliono, qui si adeguano e sono rispettosi, anche se non sono proprio castigati nei costumi».
Il sindaco Giacomo Urban ha definito i partecipanti «pacifistissimi», un neologismo che i «fratelli» ritengono più che mai azzeccato. «Ci danno degli hippies – commenta Matteo, psicologo e psicoterapeuta con studi a Milano e Verbania – lo siamo nella misura in cui si pensa all’unione e alla condivisione, ma non abbiamo nulla a che fare con le esagerazioni di allora». Una coppia di San Miniato (Pisa) – lui micologo, lei insegnante di scuola dell’infanzia – è tra i frequentatori più assidui fin dai primi Anni Duemila e coordina il campo base: «Non c’è alcun leader, ognuno porta la propria esperienza. Abbiamo un profilo Facebook, ma solo per le indicazioni logistiche, tutto il resto è lasciato all’incontro dal vivo».
Il momento più atteso è quello della luna piena, in cui si esprime al massimo il concetto di fratellanza che fin dal 1981 caratterizza questi raduni itineranti. Il motto è rimasto sempre lo stesso: «In questi tempi di separazione, ci sono persone che credono ancora che esista la possibilità di vivere insieme e serenamente, senza conflitti: luce e amore per tutti».