Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 28 Venerdì calendario

Sulle navi militari si gioca una partita da 50 miliardi. La battaglia con Parigi per i mercati stranieri

A Parigi devono anche aver fatto i conti. Perché l’orgoglio nazionale c’entra, ma sino ad un certo punto.
L’Eliseo deve difendere soprattutto la capacità di penetrazione esclusivamente francese sui mercati del militare. Non è un caso che uno dei primi dossier esaminati quando l’integrazione dei cantieri sembrava ormai in dirittura d’arrivo, fosse quello delle navi da guerra. Era una necessità anche per la parte italiana. Presentarsi ai potenziali acquirenti con la potenza di fuoco dei due Paesi tra i leader mondiali della navalmeccanica, avrebbe garantito maggiori possibilità di successo. Nella gara da 35 miliardi di dollari che tra un mese si aprirà per il rinnovo della flotta della Marina australiana, Fincantieri è però ben posizionata. Indipendentemente dai francesi.
Il gruppo di Bono voleva allargare la cooperazione per assicurarsi che anche i bacini di Saint-Nazaire, tra i più grandi al mondo, non fossero utilizzati solo per le navi passeggeri. Con quelle strutture si poteva allargare il campionario da mostrare ai potenziali clienti. Il gruppo italiano ha dimostrato comunque una capacità di penetrazione efficace già in diversi Paesi: in Qatar, ad esempio, 5 miliardi sono stati assicurati dalla commessa per il la fornitura di sette navi, tutte realizzate negli stabilimenti italiani. E persino il valore della legge navale che assicura il rinnovo della nostra marina, va ben oltre i 3,5 miliardi previsti per le sette unità: queste navi infatti piacciono anche agli ammiragli delle altre nazioni, compresa la Francia. Parigi ha chiesto di entrare in cooperazione con l’Italia, per la costruzione di tre unità – le Vulcano – che avrebbero dovuto essere realizzate proprio dai cantieri di Saint Nazaire.
È l’età dell’oro per i costruttori di navi da crociera. E in Francia lo sanno bene: Saint-Nazaire è uscita dalla crisi grazie alle maxi commesse del big americano del settore, Royal Caribbean. Poi è arrivata anche Msc con un piano di espansione da 9 miliardi che in parte minoritaria finiranno anche a Fincantieri per le unità ordinate in Italia dalla compagnia di Aponte. Il totale per i francesi è di 11 navi: si tratta di navi grandi, complesse e modernissime il cui valore complessivo si aggira sui 9-10 miliardi. Questa fetta della torta è ambita e relativamente facile, con un investimento iniziale di «soli» 80 milioni. La platea dei pretendenti post Fincantieri si allarga e se il consolidamento europeo del settore sembra inevitabile, i partner con maggiori chance, sembrano i tedeschi del gruppo familiare Meyer Werft. Rispetto agli italiani hanno due vantaggi: sono leader nella costruzione di navi con propulsione a gas Lng e non hanno accordi con i cinesi. Anzi: il numero uno dell’associazione dei costruttori navali della Germania ha lanciato l’allarme per la possibile invasione dei cantieri cinesi in un settore che è stato sino ad oggi esclusivo appannaggio degli europei:«La corsa di Pechino alle navi da crociera aumenta il rischio della distorsione della competizione». La Germania – e Meyer Werft – potrebbero avere il curriculum giusto per giocare al fianco di Macron in questa partita da 50 miliardi.