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 2017  luglio 28 Venerdì calendario

Per Parigi ora tutto più difficile. Roma non è disposta a cedere e vuol tenere la maggioranza

ROMA Ieri, nell’ultimo contatto ai massimi livelli sul caso Stx France prima della rottura, il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha ripetuto ai suoi interlocutori italiani che senza accordo Parigi avrebbe dovuto nazionalizzare e poi sarebbe tornata a trattare con loro, ma che a quel punto «tutto sarebbe stato più difficile».
Adesso che la rottura c’è stata e i francesi già si preparano a trattare di nuovo con la missione a Roma di martedì prossimo dello stesso Le Maire, il governo italiano ha tracciato la linea che intende mantenere: sotto la maggioranza assoluta – fosse pure del 50% più una sola azione – Fincantieri non entrerà in Stx France. Questo nella convinzione – diffusa nei palazzi del governo – che Parigi si sia cacciata in un vicolo cieco e che alla fine abbia tutto l’interesse a chiudere un accordo, visto che non dispone di soluzioni alternative a Fincantieri e da sola non pare in grado di gestire Stx France.
Ma perché un tale scontro su un dossier tutt’altro che enorme in termini economici, visto che il 66,6% del cantiere francese doveva passare di mano dai sudcoreani agli italiani per 79,5 milioni di euro? Ci sono almeno due ragioni. La prima è industriale e riguarda il futuro di Fincantieri: il colosso a controllo pubblico, per la verità piuttosto acciaccato, della cantieristica italiana vede l’espansione a Nord Ovest come una buona chance per guadagnare posizioni nel settore delle grandissime navi da turismo e un’ottima opportunità per allargare la collaborazione italo-francese in campo navale al settore militare. La seconda ragione è politica: l’Italia non vuole accettare quello che appare a tutti gli effetti come uno schiaffo a un partner comunitario che si muove, come è ovvio, presupponendo la libertà di movimento dei capitali; uno schiaffo che appare ancora più sonoro e meno comprensibile se si pensa che gli italiani subentrerebbero ai sudcoreani e che arriva in contemporanea ad altre azioni francesi – dalla Libia ai migranti – tutt’altro che amichevoli.
Per questo il dossier Stx France è seguito ai massimi livelli ministeriali e interessa anche il presidente del Consiglio. Per Paolo Gentiloni c’è anche un motivo in più: quando era ministro degli Esteri fu il suo omologo francese Jean-Marc Ayrault, a chiedergli aiuto per il problema dei cantieri che l’allora presidente francese François Hollande non sapeva come risolvere. Adesso l’aiuto si è trasformato in una grana diplomatica.
La posizione italiana, stabilita proprio a quei livelli e che verrà ribadita martedì a Le Maire, è che Fincantieri ha fatto un investimento industriale e non finanziario; non si tratta insomma di un fondo sovrano che è disposto a lasciare ad altri la gestione e limitarsi a staccare i dividendi. Al contrario l’intesa ha senso solo se gli italiani possono decidere, gestire il cantiere francese e sfruttare appieno eventuali sinergie. Dunque, maggioranza o nulla. I francesi potrebbero giocare l’arma della governance, offrendo alla parte italiana azioni solo al 50% ma una prevalenza di voto in consiglio di Stx France? Possibile, ma molto difficilmente la proposta basterà a Roma. Il cosiddetto «casting vote» per il presidente, il voto che vale doppio in caso di parità tra consiglieri era già previsto negli accordi originari che vedevano un cda di 10 membri, diviso a metà tra italiani e francesi, e il presidente e l’amministratore delegato scelti proprio da Fincantieri. Per fare l’accordo, è la linea che l’Italia vuole imporre, non basteranno buone intenzioni, ma più azioni della società francese.