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 2017  luglio 28 Venerdì calendario

Dal lusso a Tim e Parmalat, quando sono i francesi a comprare i nostri «gioielli»

Terra di conquista francese. I numeri lasciano pochi dubbi: dal 1996 a oggi le società d’Oltralpe hanno realizzato acquisizioni in Italia pari a circa 101,5 miliardi di euro secondo i dati raccolti da Dealogic sulle operazioni di M&A tra i due Paesi negli ultimi 20 anni. Nello stesso periodo le aziende italiane si sono fermate alla metà, con acquisizioni per 52,2 miliardi.
In principio è stata la moda ad alzare bandiera bianca. Poi gli argini sono caduti in tanti altri settori, dalle banche alle assicurazioni, dall’energia alla logistica, dall’alimentare alla grande distribuzione. Fino all’ultimo baluardo, le telecomunicazioni e i media, due settori considerati strategici in molti altri Paesi. Qui Vivendi, il gruppo che controlla la musica Universal e la pay tv Canal+, prima ha conquistato Telecom Italia, dove è salita fino al 23,9% del capitale, nominando a fine maggio presidente esecutivo Arnaud de Puyfontaine, che è anche il ceo Vivendi. Poi lo scorso dicembre il gruppo francese è andata all’assalto di Mediaset, salendo in meno di una settimana fino al 28,8% del capitale (29,9% dei diritti di voto). Un raid che ha sorpreso il mercato, realizzato dopo la rottura da parte dei francesi del contratto di acquisto di Premium dalla società della famiglia Berlusconi. Ma l’incursione francese ha innescato una complessa battaglia legale ancora in corso.
Dietro Vivendi, con una partecipazione del 20,4% del capitale (e il 29% dei diritti di voto), c’è Vincent Bolloré, imprenditore bretone e uno degli uomini più ricchi di Francia, con un patrimonio personale valutato 5 miliardi di dollari dalla rivista Forbes. Bolloré è entrato in Italia nel 2001 dalla porta di Mediobanca, di cui oggi controlla circa l’8% (oltre allo 0,13% di Generali) e da Piazzetta Cuccia, nel cui board oggi siede la figlia Marie, è partito alla conquista del Belpaese.
Creativi senza capitali
I marchi della moda e del lusso made in Italy passati sotto le insegne francesi non si contano più, a dimostrazione che la creatività da sola non basta a far crescere e a difendere le aziende, ma servono anche forti investimenti. Tra le prede più ghiotte figura Gucci, che alla vigilia del Duemila ha scatenato un’epica battaglia tra il leader mondiale del lusso Lvmh di Bernard Arnault e Ppr (oggi Kering) del connazionale François Pinault, il cavaliere bianco chiamato in causa da Domenico De Sole e Tom Ford, ceo e stilista alla guida delle Due G. Vinse Pinault, e Lvmh si consolò con Fendi, per un primo periodo controllata insieme a Prada. Ma l’appetito di Lvmh non si è fermato e oggi nella scuderia dei suoi marchi figurano tra gli altri Loro Piana (acquistata per la cifra record di 2 miliardi), Bulgari, Sergio Rossi e Pucci. Fanno invece capo a Kering, oltre a Gucci, Bottega Veneta, Brioni e Pomellato. La famiglia Pinault oggi si sente talmente di casa in Italia, che ha portato a Venezia, a Palazzo Grassi, la sua collezione d’arte.
L’assalto alla finanza
Le tormentate vicende della Bnl aprono la strada nel 2006 all’Opa di Bnp Paribas, accolta con entusiasmo dall’allora presidente Luigi Abete. La fusione tra San Paolo Imi e Banca Intesa, per motivi antitrust, nel 2007 costringe Intesa San Paolo a cedere il controllo delle banche al dettaglio Cariparma e FriulAdria a Credit Agricole, che nel 2011 rileva anche Carispezia. Sempre nel 2007, Groupama, portata da Bolloré nel Patto di Mediobanca, compra dalle Generali Nuova Tirrenia, che diventerà Groupama Italia nel 2009. L’ultimo colpo finanziario è nel risparmio gestito, un asset strategico per un Paese ad alto debito pubblico come l’Italia: la cessione di Pioneer da Unicredit, guidata dal francese Jean Pierre Mustier, ad Amundi per 4 miliardi: il closing dell’operazione risale all’inizio di questo mese.
Nell’energia Edf, controllato dallo Stato francese, conquista la preda più grossa, Edison, dal maggio 2012 francese al 100% in seguito a un riassetto con A2a, che ha portato al delisting della società. Suez invece controlla il 23,3% di Acea, la multiutility di Roma.
Stessa sorte per molti marchi italiani del food, dove spicca il passaggio di Parmalat a Lactalis nel 2011, dopo il crac del patron Calisto Tanzi. Con la vendita di Parmalat diventano così francesi i formaggi Galbani e Invernizzi. Come sventola la bandiera tricolore sullo zucchero Eridania, leader sul mercato domestico, comprato dalla cooperativa transalpina Cristal Union.
L’avanzata francese non ha risparmiato la grande distribuzione. L’insegna dei supermercati Gs non esiste più dalla fine del 2010, sostituita da Carrefour, il gruppo francese che l’ha rilevata nel 2000 dalla famiglia Benetton e Leonardo Del Vecchio. Un altro pezzo di storia che se n’è andata. Gs era stata fondata nel ‘61 da Marco Brunelli (l’imprenditore degli Iper) e Guido Caprotti (il fratello di Bernardo), già cofondatori di Esselunga. Nel ‘73 l’avventura Gs diventa pubblica con il passaggio alla Sme, che sarà privatizzata nel ‘95. A comprare sono Benetton-Del Vecchio, che restano proprietari solo per un quinquennio.
Del Vecchio è il protagonista anche di un’altra operazione italo-francese attraverso la fusione della sua Luxottica con Essilor, annunciata lo scorso gennaio e che a maggio ha avuto il via libera dall’assemblea degli azionisti francesi. Del Vecchio (per ora) resta primo socio e alla guida del nuovo gruppo, che però presto non sarà più quotato a Piazza Affari, traslocando a Parigi.
Ma non ci sono solo le aziende francesi a controllare le società italiane, ma anche i manager a gestirle. Oltre a Mustier, che guida la seconda banca italiana, spicca Philippe Donnet amministratore delegato delle Generali, primo gruppo di assicurazioni in Italia e di cui Mediobanca è il primo azionista.