la Repubblica, 27 luglio 2017
L’amaca
Uno dei problemi etici della carta stampata e della televisione, negli ultimi decenni, è stata la confusione, spesso fraudolenta, tra contenuti “indipendenti” e contenuti sponsorizzati. Come è facile capire c’è una differenza sostanziale tra gli uni e gli altri, e il lettore ha l’evidente diritto di sapere se quello che sta leggendo o vedendo è al servizio di un interesse commerciale: per questo, almeno in termini di legge, i contenuti sponsorizzati devono o dovrebbero sempre avere la dicitura “informazione pubblicitaria”.
Questo già precario argine è stato letteralmente travolto dall’informazione online, frequentando la quale capita sempre più spesso di non capire assolutamente origine e ingredienti del contenuto proposto. Non si tratta solamente della pubblicità “in nero” dei cosiddetti influencer, che ha già attirato l’attenzione dell’Antitrust. Si tratta della diretta mutazione della pubblicità stessa in “contenuto giornalistico”. Chi ammira il suggestivo video, molto cliccato, di un giovane tuffatore che si lancia da un balcone direttamente in mare, può anche non rendersi conto che si tratta del video pubblicitario di una bibita: nessuna avvertenza lo spiega, come se il movente delle cose che leggiamo e vediamo NON fosse più un problema.