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 2017  luglio 26 Mercoledì calendario

È una buona notizia che dimostra tutti i ritardi dell’Italia

Sarebbe difficile negare che l’intesa raggiunta a Celle Saint-Cloud fra il Presidente del Consiglio presidenziale Serraj e il generale Haftar sia una buona notizia. Anche per noi. Forse potremmo dire soprattutto per noi. Il cammino per una pacificazione reale del paese è ancora lungo e incerto, ma almeno la componente principale della tragica frammentazione della Libia potrebbe essere avviata ad una ricomposizione. Da oggi si intravede la possibilità di invertire il devastante processo innescato dal tragico errore di non vedere come la fine del tiranno Gheddafi si sarebbe convertita nel collasso dello stato libico. Ma se fra i responsabili di quell’errore l’Italia non fu certo il principale, oggi siamo invece noi a pagare più di ogni altro le conseguenze. In primo luogo si tratta del flusso di migranti, in gran parte africani, che attraversano la Libia senza alcun filtro.
E anzi, entrano in un sistema di traffici gestito sia dalla criminalità comune che dai numerosi gruppi armati che vedono in questo transito in direzione dell’Italia una ricca fonte di finanziamento. Senza parlare della minaccia alla sicurezza costituita dalla presenza a poche miglia marine dalle nostre coste di jihadisti, compresi militanti dello Stato Islamico, sempre più orientati verso il terrorismo transnazionale nel momento in cui si avvicina lo smantellamento della loro capacità di controllo territoriale.
Ma non sono queste le considerazioni che prevalgono nel modo in cui la notizia viene commentata in Italia. Non si parla di Libia, ma di una sconfitta italiana, come se il giovane e ambizioso presidente Macron fosse riuscito a segnare un gol umiliando la nostra squadra.
È vero che si tratta di un successo francese, tanto più significativo in quanto le indagini su quel disgraziato “staticidio” del 2011 portano a identificare un colpevole numero uno: la Francia, appunto, ispirata dal suo bellicoso intellettuale Bernard- Henri Levi, evidentemente non abbastanza sofisticato da sapere distinguere l’etica della convinzione (“il dittatore va eliminato”) dall’etica della responsabilità (“ma poi che succede?”).
Il tema dominante è: “Ancora una volta ci hanno esclusi”. Un tema ricorrente, una lamentela che ricorda quella pubblicità che la televisione italiana trasmetteva negli anni ’60: Calimero, il pulcino nero che si lamentava sempre di essere deriso, quando avrebbe potuto risolvere il problema lavandosi con quel detersivo.
Insomma, lasciamo stare la diabolica abilità degli altri e la loro mancanza di rispetto nei nostri confronti, e chiediamoci in che misura queste situazioni non siano create da nostre carenze, da nostri errori, e soprattutto ricordare che non solo la natura, ma anche la politica, ha orrore del vuoto. Se lasci uno spazio, qualcuno lo occupa.
Non dovremmo quindi lamentarci del fatto che i due principali protagonisti della vicenda libica si siano incontrati in Francia, ma chiederci perché non lo abbiano fatto in Italia. A chi scrive viene in mente un episodio del 2003, quando iniziò la trattativa fra gli “EU3” (Francia, Gran Bretagna, Germania) e l’Iran sulla questione nucleare. Anche allora si alzò un coro di lamentele sul fatto che l’Italia era stata esclusa, ma in realtà fummo noi che non ritenemmo di accogliere il caloroso invito del Presidente Khatami che, evocando i tradizionali rapporti di amicizia e collaborazione economica fra Italia e Iran, ci disse che avrebbe apprezzato di avere anche l’Italia dall’altra parte del tavolo. Forse in sede di ricerca storica qualcuno riuscirà a spiegare le ragioni di questo passo indietro. Fra le congetture la più credibile è quella che, in un momento in cui alcuni – in primo luogo gli Stati Uniti – non erano d’accordo su una trattativa con Teheran, il nostro governo abbia preferito astenersi per evitare critiche e controversie.
Questa volta però sarebbe difficile dare la colpa agli americani, dato che risulta che Washington abbia dato all’Italia segnali non solo di apprezzamento, ma anche di incoraggiamento, sul suo ruolo in un processo di pacificazione e ricomposizione della Libia.
Infine, al di là della ricostruzione dei retroscena e delle motivazioni sulle singole decisioni, va detto che il discorso su presenza e esclusione non è formale e diplomatico, ma sostanziale e politico.
Si è presenti perché si conta, e non viceversa. Cioè quello che è importante è l’iniziativa, la decisione, la credibilità, la capacità di fare sistema e agire davvero come una squadra unica, e soprattutto il coraggio politico.