la Repubblica, 25 luglio 2017
Quattro attori in movimento verso un Parlamento ingovernabile
Gli ultimi dati dei sondaggi estivi descrivono un’Italia perplessa e indecisa, chiusa nelle contraddizioni di un sistema politico senza bussola. Ci sono due partiti, Pd e Cinque Stelle, quasi sullo stesso piano ma decisamente sotto il 30 per cento. Ciò che più conta, nessuno dei due mostra una tendenza ascendente. Entrambi danno segni di affanno: più accentuati nel Pd di governo, ma anche il suo “alter ego” anti-politico ha perso lo smalto dei momenti migliori.
La destra, al contrario, appare in buona salute. Se si sommano fra loro i voti previsti per Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia si ottiene una percentuale intorno al 35 per cento. Sulle cifre non tutti sono concordi, ma sul senso del risultato finale ci sono pochi dubbi: il triangolo Berlusconi-Salvini- Meloni è idealmente titolare di una solida maggioranza relativa. Tuttavia qui il gioco dei numeri finisce e comincia la politica. Le tre sigle non sono cumulabili a causa delle profonde divergenze che le separano. Divergenze che si possono accantonare quando c’è da amministrare una città o una regione; e che riemergono prepotenti quando è in gioco il governo del paese.
Berlusconi – per dirla in altri termini – non ha alcuna voglia di immaginarsi sullo stesso piano di un Salvini. L’ex premier è dentro la logica del Partito popolare europeo, da cui ha ricavato di recente l’elezione di Tajani al vertice del Parlamento di Bruxelles/Strasburgo. Al contrario, il capo della Lega è alla testa di forze nettamente diffidenti verso gli attuali assetti europei, anche se si è attenuata l’ostilità alla moneta unica. Se c’è una preoccupazione nelle cancellerie dell’Unione, è proprio l’ascesa di un partito “sovranista” e il suo ingresso nella cosiddetta “stanza dei bottoni”. Per cui quello che a Berlino come a Parigi chiedono a Berlusconi nella sua ennesima reincarnazione è che tenga a bada la spinta nazionalista del suo alleato/rivale, non agevolando in alcun modo il suo ingresso nel governo. Tanto più che si profila un altro scenario evocato dai sondaggi: un ipotetico “fronte populista” composto da Grillo, Salvini e Giorgia Meloni sarebbe infatti già oggi fra il 45 e il 47 per cento. Non troppo lontano dalla maggioranza.
Anche questa somma rappresenta un calcolo arbitrario con scarse possibilità pratiche di realizzarsi, ma è sufficiente per acuire le inquietudini in diverse capitali. Peraltro la società italiana fino a oggi ha mostrato di non possedere anticorpi efficaci contro la deriva nazional-populista. La Francia ha avuto Macron che ha sconfitto Marine Le Pen in nome dell’europeismo classico, prima di scoprire in sé la vena della tradizione gollista. Da noi gli antemurali contro Grillo e Salvini dovrebbero essere Renzi e Berlusconi. Ma per ora gli esiti sono modesti.
Renzi, come abbiamo visto, guida un partito in crisi di identità e tende a inseguire gli avversari sul loro terreno: dalla riscoperta del “federalismo” regionale ai migranti alla guerra contro i vitalizi dei parlamentari. Berlusconi ha ottenuto di ricollocarsi al centro della scena e si muove con astuzia. Tuttavia i suoi consensi sono limitati: intorno al 15 per cento, stando alle rilevazioni. Per raggiungere il 30 per cento che egli stesso si è assegnato, un po’ sul serio è un po’ per celia, dovrebbero accadere eventi non prevedibili. Semmai è più probabile il contrario: che sia la Lega a crescere ancora.
In effetti, la gestione dei migranti, sul piano sia domestico sia sovranazionale, continua a essere un grandioso “spot” per Salvini (e in subordine per i Cinque Stelle nella loro versione “destrorsa”). Questo spiega il fermo intervento di Mattarella che ieri ha chiesto alle cancellerie europee risposte concrete alle richieste dell’Italia e non mediocri battute di spirito. Il tempo non è infinito e una campagna elettorale che si svolgesse con l’Italia abbandonata a se stessa (e magari soppiantata in Libia dall’attivismo francese) sarebbe un regalo ai populisti. Si capisce anche da questi passaggi perché è così difficile riprendere il filo della riforma elettorale, pur necessaria. Nessuno dei protagonisti dello psicodramma (Renzi, Berlusconi, Salvini e Grillo) ha interessi che si conciliano con gli altri. Ognuno segue la sua ambizione, correndo verso un Parlamento ingovernabile.