Corriere della Sera, 25 luglio 2017
Il ministro revoca il 41 bis a Carminati
Dopo le scarcerazioni di molti imputati condannati mandati ai domiciliari o liberati con l’imposizione di alcuni obblighi, la sentenza del processo alla ex «Mafia Capitale» comincia a produrre effetti anche per chi è rimasto dietro le sbarre. In particolare per Massimo Carminati, l’ex estremista nero trasformatosi in criminale comune considerato a capo della presunta associazione mafiosa; e per questo, dall’arresto del dicembre 2014, sottoposto ai rigori del «41 bis», l’articolo dell’ordinamento penitenziario che stabilisce le regole del «carcere duro» per i boss di Cosa Nostra e degli altri gruppi di criminalità organizzata. Sebbene in attesa di giudizio. Ma una volta che, giovedì scorso, il tribunale ha escluso quel reato, condannando Carminati a 20 anni di pena ma declassando l’accusa ad associazione per delinquere semplice, il ministro della Giustizia ha deciso ieri di revocare quel particolare regime che prevede un solo colloquio al mese con i familiari, da farsi attraverso il vetro, e altre restrizioni. Decaduta l’accusa di mafia, insomma, è decaduto il «carcere duro». Se ciò è avvenuto per l’ex estremista considerato il capo della banda mafiosa negata dal tribunale, il «responsabile economico» Salvatore Buzzi, condannato a 19 anni, spera addirittura di tornare a casa. Sempre in virtù dell’esclusione dell’associazione mafiosa, infatti, il suo avvocato Alessandro Diddi si appresta a richiedere gli arresti domiciliari al tribunale del Riesame, già negati dal tribunale subito dopo la sentenza.