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 2017  luglio 24 Lunedì calendario

Evoluzione di Froome tra i più grandi il ciclista che sembrava una rana

PARIGI Piaccia o no, ma a quanto pare non piace, Chris Froome si colloca nella scia di Anquetil, Merckx, Hinault, Indurain. Di Armstrong, che aveva vinto più Tour di tutti, ma barando, non parla più nessuno. Ma, almeno in un particolare, Froome ricorda il texano: il frullo, l’alto numero di pedalate in un minuto di salita. La domanda di molti, francesi e no: ma cos’ha Froome che lo renda degno di tale compagnia? Il numero di vittorie: 4 sono tante e sono ottenute in modo diverso. Qualcuno ha parlato di camaleontismo. Certo è che Froome viene programmato e tarato su ogni tipo di avversario e di percorso. Questo non lo favoriva, e nemmeno favoriva i grandi scalatori (che sono pochissimi). E difatti Froome ha vinto a fatica, è la sua prima vittoria del 2017. I paragoni con la banda dei quattro, tutti campioni con l’iniziale maiuscola, possono proseguire: alle grandI vittorie Froome è arrivato tardi, come Indurain. Gli altri (Anquetil, Merckx, Hinault) erano predestinati, forti anche da giovani. Non hanno bussato alla porta del Tour, l’hanno sfondata.
Froome l’ha aperta dopo stagioni d’attesa e ironie. Uno nato a Nairobi, Kenya, a 15 trasferito a Johannesburg con la famiglia, uno lontano dai luminosi viali del ciclismo doveva arrivarci per strettoie e stradine. Si sposta in Europa, è ingaggiato dalla Barloworld diretta da Claudio Corti, abita a Chiari, Nesso, Quarrata, vede per la prima volta la neve, pedala male, come una rana, gambe e gomiti larghi, cade troppo spesso, è maldestro, ha un rendimento altalenante. Dovuto alla schistosomiasi, una malattia tropicale da cui guarisce nel 2013. Pure, i tecnici di Sky vedono qualcosa di buono in questo lungagnone taciturno e lo ingaggiano. È con la maglia di Sky che Froome corre il Giro del 2010 ed è espulso per traino sul Mortirolo. Lui da allora sostiene che è tutto un equivoco, che gli faceva male un ginocchio e aveva deciso di ritirarsi al rifornimento e per alleviare la fatica s’era attaccato alla moto di un poliziotto. Spiegazione non molto convincente: se vuoi ritirarti togli il numero e sali sul mezzo che accoglie chi si ritira. La macchia del traino, comunque, non è solo sua: espulsi anche Nibali alla Vuelta, Bardet alla Parigi-Nizza.
Anquetil e Indurain, formidabili a cronometro, si accontentavano di tener le ruote in salita. Erano più gérants che géants de la route. Merckx e Hinault, il contrario. Alla vigilia della crono Merckx ha avuto parole molto dolci per Froome, augurandogli di vincere anche il quinto e il sesto Tour, e Froome s’è emozionato. In corsa sembra un automa, fuoricorsa riprende aspetto umano. Dopo aver fatto a malincuore il gregario a Wiggins, Froome ha cominciato a vincere. È migliorato per gradi, ha imparato a pedalare in gruppo, grazie a un gruppo di gregari eccezionali. In questo Tour, lui era come Wiggins, e Landa come Froome. Cambia molto, il ciclismo, ma propone situazioni già viste e vissute. Froome ha sfruttato un periodo storico favorevole: scalatori abbastanza forti e giovani, ma scarsi a cronometro (Bardet, Aru, Barguil), campioni orgogliosi ma in fase calante (Contador), scalatori forti ma fuori forma (Quintana).
Ma ha ancora un senso parlare di scalatori? Il Tour Froome l’ha vinto da cronoman, come Anquetil e Hinault, ma reggendo su vantaggi assai più esigui. Bastano pochi numeri a dimostrarlo. Questa la classifica delle 8 tappe di montagna, includendo gli abbuoni: in testa Uran, a 2” Bardet, a 22” Froome. Questa la classifica in base alle due crono (36,5 km in tutto): in testa Froome, a 1’16” Uran, a 2’36”Bardet. Come Dumoulin al Giro, ma con minori problemi fisici, Froome al Tour. Ha messo in secondo piano (o, più probabile, non poteva fare altrimenti) il Chris scalatore e ha dato strada al Chris cronoman. S’è adattato al percorso come un guanto alla mano. Chi disegna i grandi Giri ha un problema in più: per garantire spettacolo, meglio limitare il chilometraggio delle crono o aumentare gli arrivi in salita? Dopo un Tour in cui s’è attaccato più in discesa che in salita e in cui sono stati determinanti 36,5 km a cronometro, la risposta non è facile. Barguil, che ha già ricevuto offerte da mezzo mondo (Sky e Astana in prima fila), ha già detto che dovrà migliorare a cronometro, ma non intende rinunciare al suo modo di correre: all’attacco appena si drizza la strada.
L’ultimo giorno è per metà allegra transumanza e per metà giostra ad alta velocità negli 8 giri dei Campi Elisi. La volata la vince Dylan Groenewegen, un olandese che già s’era messo in evidenza dai primi giorni, davanti a Greipel, Boasson Hagen e Bouhanni. Nei dieci Cimolai e Bennati. Froome abbraccia la moglie Michelle, fotografa e agente, che tiene in braccio il piccolo Kellan in maglia gialla. Barguil dà il mazzo di fiori alla nonna. Matthews sale sul podio della maglia verde con la bandiera australiana. Uran ha la faccia di chi azzeccato un terno al lotto. Piccola curiosità: ogni volta che Froome ha vinto il Tour c’era un colombiano sul podio. Parla inglese anche la maglia bianca dei giovani, Yates, e ovviamente la Sky, prima nella classifica a squadra. Barguil sale due volte sul podio, come miglior scalatore e come corridore più combattivo del Tour. Deploro, pur nel mio crescente barguilismo, una scelta nazionalista che penalizza Thomas De Gendt. Aru chiude a 1’45” dal podio un Tour positivo per due terzi e segnato, secondo me, da un grave errore: avere collaborato con Froome nella tappa di Chambery. Aru ha chiuso cinque volte nei primi cinque i 7 grandi Giri cui ha partecipato. Qualcosa vorrà dire. Riflettori finali su Voeckler, anche lui, fuori programma, sul podio. Dopo 17 Tour, vittorie e maglie gialle che hanno infiammato la Francia, smette. Ha una mimica efficace e una faccia da cinema. E lì lo rivedremo, mi sa.