Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 23 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I GUAI DELLA SICCITA’REPUBBLICA.ITI 2/3 dell’Italia e dei campi coltivati lungo la Penisola sono a secco a causa della siccità delle ultime settimane e secondo un’analisi della Coldiretti ammontano a oltre 2 miliardi i danni provocati a coltivazioni e allevamenti

APPUNTI PER GAZZETTA - I GUAI DELLA SICCITA’

REPUBBLICA.IT
I 2/3 dell’Italia e dei campi coltivati lungo la Penisola sono a secco a causa della siccità delle ultime settimane e secondo un’analisi della Coldiretti ammontano a oltre 2 miliardi i danni provocati a coltivazioni e allevamenti. In questa situazione, almeno 10 Regioni, secondo quanto apprende l’Ansa, stanno per presentare la richiesta di stato di calamità naturale al ministero delle Politiche agricole. La misura - come spiegato anche ieri dal ministro Maurizio Martina, prevede per le aziende la sospensione delle rate dei mutui, il blocco dei contributi e l’accesso al Fondo per il ristoro danni.

Almeno 10 amministrazioni regionali hanno già avviato le verifiche e stanno per chiedere, dunque, la richiesta di dichiarazione di stato di calamità naturale al ministero delle Politiche agricole per attivare il Fondo di solidarietà nazionale. In particolare, con la dichiarazione scattano la sospensione delle rate dei mutui bancari delle imprese agricole e il blocco del versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Tenuto conto dell’eccezionale siccità, vengono estesi i benefici del fondo anche alle aziende agricole che potevano sottoscrivere assicurazioni, grazie a un emendamento al decreto Mezzogiorno ora in Senato. Allarme siccità in Emilia. Il Po in secca Navigazione per la galleria fotografica 1 di 10 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow
Il dossier Coldiretti - Secondo i dati raccolti dalla Coldiretti, il Lago di Garda è appena al 34,4% di riempimento del volume, mentre il fiume Po al Ponte della Becca a Pavia è a circa 3,5 metri sotto lo zero idrometrico. Lo stato del più grande fiume italiano è rappresentativo dello stato idrico sul territorio nazionale dove sarebbero senz’acqua circa i 2/3 dei campi coltivati. Per gli agricoltori - sottolinea la Coldiretti - è sempre più difficile ricorrere all’irrigazione di soccorso per salvare le produzioni, dagli ortaggi alla frutta, dai cereali al pomodoro da industria, ma anche i vigneti e gli uliveti e il fieno per l’alimentazione degli animali per la produzione di latte che è crollata di circa il 15% anche per il grande caldo. L’allarme fieno riguarda anche gli alpeggi in montagna: secondo un monitoraggio Coldiretti, in Lombardia sui pascoli di montagna si registra in media un calo del 20% di erba a disposizione del bestiame.

In Piemonte, secondo lo studio Coldiretti, a soffrire sono soprattutto le province di Cuneo, Asti ed Alessandria dove il caldo di questi giorni sta aggravando anche la situazione degli alpeggi. La campagna cerealicola sta facendo registrare rese inferiori del 30% e per le coltivazioni foraggiere è andato a compimento solo il primo taglio con danni almeno del 50%. Forti i timori per la raccolta - continua la Coldiretti - di frutta, uva e nocciole. In Liguria, a causa della conformazione del terriorio, si aggiunge l’incubo degli incendi. "Gli agricoltori risentono della siccità soprattutto per gli oliveti dell’Imperiese soggetti alla cascola dei frutti e nelle zone irrigue di Andora ed Albenga dove soffre anche la coltivazione del pregiato basilico genovese". In Veneto, la Regione ha emesso già tre ordinanze anti-siccità allo scopo di contingentare l’acqua. "Gli agricoltori - afferma la Coldiretti - sono costretti a bagnare la soia, il mais, barbabietola, tabacco oltre a tutte le orticole, comprese le frutticole già in emergenza ma anche i prati stabili con conseguente aggravio dei costi di produzione".

In Trentino Alto Adige la produzione del primo taglio di fieno è stata falcidiata del 30% e la siccità aggiunge danni a quelli causati dalle gelate con perdite anche del 100% in alcune aziende frutticole della Val di Non, della Val di Sole e della Valsugana. Lo stato di "sofferenza idrica" è stato sancito dalla Regione in Friuli Venezia Giulia, mentre in Emilia Romagna la dichiarazione dello stato di emergenza è stata anticipata riguarda nelle zone di Parma e Piacenza: le colture più danneggiate sono quelle soprattutto del pomodoro da industria e poi cereali, frutta, ortaggi, barbabietole e soia. I danni sono stimati da Coldiretti intorno ai 100 milioni di euro. Lo stato d’emergenza è stato dichiarato anche dalla Regione Toscana. Coldiretti stima qui un danno di 50 milioni di euro solo per la perdita di prodotto per grano tenero e duro; altri 35 milioni sono i danni al mais, altre foraggere e girasole, mentre sono da quantificare gli effetti della siccità su vigneti e oliveti. Nelle Marche, a soffrire sono un po’ tutte le colture a partire dai foraggi per l’alimentazione degli animali, con crolli di produzione stimati fino al 50%. L’emergenza è anche nelle stalle: causa dello stress da caldol le mucche starebbero fornendo fino al 20% di latte in meno.

La situazione è identica nel Centro Italia. In Umbria ci si attende un calo di resa dal 30 al 50% dalle colture di grano, orzo e foraggi, mentre nel Lazio la situazione più pesante è quella dell’Agro Pontino: Colidretti parla di raccolti compromessi al 50% per mais, ortaggi, meloni, angurie. In Abruzzo, nella sola Marsica si stimano perdite di ricavo, legate alla produzione orticola, all’olivicoltura e alla zootecnia, di circa 200 milioni di euro. In Molise, dove le dighe sono ai minimi storici, numerosi comuni hanno emanato ordinanze "anti spreco" per salvaguardare le risorse idriche.

Anche la Regione Campania ha chiesto al governo di dichiarare lo stato di calamità naturale. Qui Coldiretti stima che i danni possano ammontare a circa 200 milioni. In Puglia, prosegue il rapporto Coldiretti, la siccità ha già causato la perdita di 140 milioni di euro di grano, pomodori da industria e ortaggi e se non dovesse piovere ancora per settimane, troverà conferma il calo previsto di oltre il 30% di produzione di olive. Ma soffrono anche gli agrumeti, i vigneti di uva da tavola e da vino. Previsioni allarmanti sui danni anche dalla Basilicata, specie nel Metapontino e nella zona della val d’Agri e del Vulture. In Calabria soffrono l’ulivo con perdite medie del 35/40% e la viticoltura con circa un 15% di grappoli bruciati per il caldo, ma anche gli allevatori per la forte diminuzione di produzione di foraggi sui prati permanenti.

In Sicilia, oltre l’allarme per le produzioni, sono già triplicati i costi per chi è costretto a irrigare i campi con l’acqua che in alcune zone agricole del catanese non arriva a causa di una rete colabrodo. In Sardegna, nel Sulcis-Iglesiente 4 mila aziende agricole sono rimaste praticamente senz’acqua a causa della siccità e degli incendi. La Coldiretti ha stimato nell’Isola una riduzione del 40% delle produzioni agricole, ma soprattutto è crollata la produzione di latte per la mancanza di pascoli. La Regione ha adottato una delibera per chiedere lo stato di calamità naturale per tutto il territorio regionale

IN ARRIVO I TEMPORALI
I 2/3 dell’Italia e dei campi coltivati lungo la Penisola sono a secco a causa della siccità delle ultime settimane e secondo un’analisi della Coldiretti ammontano a oltre 2 miliardi i danni provocati a coltivazioni e allevamenti. In questa situazione, almeno 10 Regioni, secondo quanto apprende l’Ansa, stanno per presentare la richiesta di stato di calamità naturale al ministero delle Politiche agricole. La misura - come spiegato anche ieri dal ministro Maurizio Martina, prevede per le aziende la sospensione delle rate dei mutui, il blocco dei contributi e l’accesso al Fondo per il ristoro danni.

Almeno 10 amministrazioni regionali hanno già avviato le verifiche e stanno per chiedere, dunque, la richiesta di dichiarazione di stato di calamità naturale al ministero delle Politiche agricole per attivare il Fondo di solidarietà nazionale. In particolare, con la dichiarazione scattano la sospensione delle rate dei mutui bancari delle imprese agricole e il blocco del versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Tenuto conto dell’eccezionale siccità, vengono estesi i benefici del fondo anche alle aziende agricole che potevano sottoscrivere assicurazioni, grazie a un emendamento al decreto Mezzogiorno ora in Senato. Allarme siccità in Emilia. Il Po in secca Navigazione per la galleria fotografica 1 di 10 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow
Il dossier Coldiretti - Secondo i dati raccolti dalla Coldiretti, il Lago di Garda è appena al 34,4% di riempimento del volume, mentre il fiume Po al Ponte della Becca a Pavia è a circa 3,5 metri sotto lo zero idrometrico. Lo stato del più grande fiume italiano è rappresentativo dello stato idrico sul territorio nazionale dove sarebbero senz’acqua circa i 2/3 dei campi coltivati. Per gli agricoltori - sottolinea la Coldiretti - è sempre più difficile ricorrere all’irrigazione di soccorso per salvare le produzioni, dagli ortaggi alla frutta, dai cereali al pomodoro da industria, ma anche i vigneti e gli uliveti e il fieno per l’alimentazione degli animali per la produzione di latte che è crollata di circa il 15% anche per il grande caldo. L’allarme fieno riguarda anche gli alpeggi in montagna: secondo un monitoraggio Coldiretti, in Lombardia sui pascoli di montagna si registra in media un calo del 20% di erba a disposizione del bestiame.

In Piemonte, secondo lo studio Coldiretti, a soffrire sono soprattutto le province di Cuneo, Asti ed Alessandria dove il caldo di questi giorni sta aggravando anche la situazione degli alpeggi. La campagna cerealicola sta facendo registrare rese inferiori del 30% e per le coltivazioni foraggiere è andato a compimento solo il primo taglio con danni almeno del 50%. Forti i timori per la raccolta - continua la Coldiretti - di frutta, uva e nocciole. In Liguria, a causa della conformazione del terriorio, si aggiunge l’incubo degli incendi. "Gli agricoltori risentono della siccità soprattutto per gli oliveti dell’Imperiese soggetti alla cascola dei frutti e nelle zone irrigue di Andora ed Albenga dove soffre anche la coltivazione del pregiato basilico genovese". In Veneto, la Regione ha emesso già tre ordinanze anti-siccità allo scopo di contingentare l’acqua. "Gli agricoltori - afferma la Coldiretti - sono costretti a bagnare la soia, il mais, barbabietola, tabacco oltre a tutte le orticole, comprese le frutticole già in emergenza ma anche i prati stabili con conseguente aggravio dei costi di produzione".

In Trentino Alto Adige la produzione del primo taglio di fieno è stata falcidiata del 30% e la siccità aggiunge danni a quelli causati dalle gelate con perdite anche del 100% in alcune aziende frutticole della Val di Non, della Val di Sole e della Valsugana. Lo stato di "sofferenza idrica" è stato sancito dalla Regione in Friuli Venezia Giulia, mentre in Emilia Romagna la dichiarazione dello stato di emergenza è stata anticipata riguarda nelle zone di Parma e Piacenza: le colture più danneggiate sono quelle soprattutto del pomodoro da industria e poi cereali, frutta, ortaggi, barbabietole e soia. I danni sono stimati da Coldiretti intorno ai 100 milioni di euro. Lo stato d’emergenza è stato dichiarato anche dalla Regione Toscana. Coldiretti stima qui un danno di 50 milioni di euro solo per la perdita di prodotto per grano tenero e duro; altri 35 milioni sono i danni al mais, altre foraggere e girasole, mentre sono da quantificare gli effetti della siccità su vigneti e oliveti. Nelle Marche, a soffrire sono un po’ tutte le colture a partire dai foraggi per l’alimentazione degli animali, con crolli di produzione stimati fino al 50%. L’emergenza è anche nelle stalle: causa dello stress da caldol le mucche starebbero fornendo fino al 20% di latte in meno.

La situazione è identica nel Centro Italia. In Umbria ci si attende un calo di resa dal 30 al 50% dalle colture di grano, orzo e foraggi, mentre nel Lazio la situazione più pesante è quella dell’Agro Pontino: Colidretti parla di raccolti compromessi al 50% per mais, ortaggi, meloni, angurie. In Abruzzo, nella sola Marsica si stimano perdite di ricavo, legate alla produzione orticola, all’olivicoltura e alla zootecnia, di circa 200 milioni di euro. In Molise, dove le dighe sono ai minimi storici, numerosi comuni hanno emanato ordinanze "anti spreco" per salvaguardare le risorse idriche.

Anche la Regione Campania ha chiesto al governo di dichiarare lo stato di calamità naturale. Qui Coldiretti stima che i danni possano ammontare a circa 200 milioni. In Puglia, prosegue il rapporto Coldiretti, la siccità ha già causato la perdita di 140 milioni di euro di grano, pomodori da industria e ortaggi e se non dovesse piovere ancora per settimane, troverà conferma il calo previsto di oltre il 30% di produzione di olive. Ma soffrono anche gli agrumeti, i vigneti di uva da tavola e da vino. Previsioni allarmanti sui danni anche dalla Basilicata, specie nel Metapontino e nella zona della val d’Agri e del Vulture. In Calabria soffrono l’ulivo con perdite medie del 35/40% e la viticoltura con circa un 15% di grappoli bruciati per il caldo, ma anche gli allevatori per la forte diminuzione di produzione di foraggi sui prati permanenti.

In Sicilia, oltre l’allarme per le produzioni, sono già triplicati i costi per chi è costretto a irrigare i campi con l’acqua che in alcune zone agricole del catanese non arriva a causa di una rete colabrodo. In Sardegna, nel Sulcis-Iglesiente 4 mila aziende agricole sono rimaste praticamente senz’acqua a causa della siccità e degli incendi. La Coldiretti ha stimato nell’Isola una riduzione del 40% delle produzioni agricole, ma soprattutto è crollata la produzione di latte per la mancanza di pascoli. La Regione ha adottato una delibera per chiedere lo stato di calamità naturale per tutto il territorio regionale

SICILIA
Il presidente della Regione Rosario Crocetta verrà sentito martedì prossimo dalla Commissione Ambiente del Senato in merito all’escalation di incendi che ha colpito la Sicilia. L’occasione sarà utile anche per fare il punto sulla situazione dei roghi che non accennano a diminuire e che anche in queste ore stanno interessando diverse zone dell’Isola

In particolare, è il forte vento di scirocco che soffia da ieri soprattutto nella zona del Trapanese ad alimentare gli incendi che nelle ultime ore sono divampati in gran parte dell’Isola. E’ sotto controllo il rogo all’interno della riserva dello Zingaro dove ieri un uomo della forestale si era ustionato nel tentativo di spegnere le fiamme.

La situazione più critica è quella di contrada Fraginesi nei pressi di Castellammare del Golfo e del monte Inici. Fiamme, però sotto controllo nella zona di Castelluzzo, Biro e Custonaci dove ieri si era sviluppato l’incendio più intenso.

Sul totale di ventinove interventi dei Canadair in tutta Italia, ben sei sono stati quelli che hanno riguardato la Sicilia dove le fiamme hanno interessato anche una parte dell’autostrada Palermo-Catania dove, all’altezza di Caltanissetta, ieri si è formata una lunga coda di automobilisti impossibilitati a procedere per il fumo denso.

Un uomo di 28 anni è stato arrestato dai Carabinieri perché sorpreso ad appiccare un incendio ad alcune sterpaglie lungo la strada Asi, sulle colline in provincia di Messina. I militari stavano perlustrando la zona, dopo i diversi incendi sui Peloritani e hanno visto un bagliore.

Dopo aver allertato i vigili del fuoco, si sono nascosti dietro un cespuglio e hanno sorpreso il giovane mentre si allontanava. Il piromane ora si trova in camera di sicurezza a Milazzo, in attesa del processo che si svolgerà domani.

Secondo la Coldiretti, ad alimentare i roghi sono le alte temperature, che solo a luglio hanno fatto registrare 2,5 gradi in più rispetto alla media, e la siccità che ha portato al sessanta per cento in meno di precipitazioni.

ROMA
Roma va verso il razionamento drastico di erogazione dell’acqua. Dopo lo stop della Regione ai prelievi dal lago di Bracciano a partire da venerdì 28 luglio ormai considerato a rischio ambientale, il piano dell’azienda che gestisce la rete idrica della capitale, Acea, prevede turni di stop di otto ore consecutive e la divisione della città in due quadranti da almeno 1,5 milioni di residenti; l’acqua sarà erogata a turno a ciascun quadrante e quindi ogni 24 ore un romano su due rimarrà senza acqua, in totale, per sedici ore.
 
Il piano riguarda circa tre milioni di utenti all’interno del Raccordo: case, negozi, uffici, ma anche ospedali e caserme. Saranno poi posizionate autobotti nelle aree strategiche della città e saranno chiusi tutti i “nasoni”, le fontanelle simbolo della capitale: solo 85 rimarranno aperti per effettuare il campionamento. Nessun problema per i parchi della capitale, innaffiati con acqua proveniente dal Tevere. La Regione Lazio ha disposto lo stop ai prelievi da Bracciano per evitare un disastro ambientale.

A giugno Acea ha prelevato 1400 litri al secondo e a luglio 1.100; la siccità ha fatto il resto e ora il lago è oltre 35 cm sotto il livello minimo consentito dalle norme. Acea ha cinque giorni per una soluzione. Non sarà facile. Le altre fonti, a causa della siccità, riescono a coprire la metà del fabbisogno della città, che supera i 18mila litri al secondo: in sostanza, Roma dipende dall’acqua di un lago che non ha affluenti.

CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA

ROMA «Purtroppo è una tragedia. Sta finendo l’acqua a Roma». Il primo a usare parole forti ieri è stato Nicola Zingaretti. La vicenda è deflagrata venerdì sera quando lo stesso governatore del Lazio ha dato ordine di sospendere i prelievi di acqua potabile dal lago di Bracciano, riserva idrica della capitale. Acea, la società partecipata dal Campidoglio al 51 per cento, non l’ha presa bene e minaccia: «Dal 28 luglio un milione e mezzo di romani avrà l’acqua razionata, con i rubinetti a secco per 8 ore al giorno». Inevitabilmente, quindi, vista la vastità della popolazione colpita dal provvedimento, ieri è scoppiata la polemica politica, con accuse reciproche soprattutto tra Pd e M5S, cioè le forze che guidano la Regione Lazio e il Comune di Roma. La sindaca Virginia Raggi prima ha sottolineato che «va fatto tutto il possibile per assicurare l’acqua ai cittadini, agli ospedali, ai Vigili del fuoco, alle attività commerciali», poi ha messo in chiaro: «La questione di Bracciano è competenza della Regione».

Il presidente di Acea Ato 2, Paolo Saccani, ha avvertito che «da qui a una settimana non troveremo nessuna soluzione». E mentre il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha detto di essere pronto a collaborare con le Regioni e avviare la richiesta di stato di calamità «per le eccezionali avversità atmosferiche» che prevede «l’attivazione del fondo di solidarietà nazionale, l’aumento degli anticipi dei fondi europei Pac, 700 milioni per il piano di rafforzamento delle infrastrutture irrigue», le polemiche non si sono placate.

«Roma non può trasformarsi nel killer di uno dei luoghi più belli e tutelati del suo territorio metropolitano» ha attaccato il Pd capitolino riferendosi alle captazioni di Acea Ato 2 a Bracciano. «Ai cittadini che pagano bollette salate e sprechi, purtroppo, non resta che assistere a questo ridicolo balletto scaricabarile tra Acea, Roma Capitale e Regione» ha attaccato Fabrizio Sartori, consigliere di FdI in Regione, mentre Davide Bordoni in Campidoglio con Forza Italia ha puntato il dito: «Raggi fa finta che in 15 mesi di governo non si possa far niente per la dispersione idrica». Più cauto il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, 5 Stelle: «Spero che Zingaretti, l’Acea e il Comune trovino una soluzione. Mi auguro ci sia dialogo tra tutte le istituzioni».

E mentre dal ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti l’emergenza idrica del Lago di Bracciano è stata definita la più grave dell’Italia centrale, il rimpallo di responsabilità è proseguito.

«Acea non ha rispettato il limite della concessione del 1990, che prevede lo stop a un metro e 14 centimetri, mentre ora siamo a un metro e mezzo, cioè sotto di 36 centimetri» hanno dichiarato dalla Regione Lazio in risposta all’attacco di Acea sull’ordinanza definita «unilaterale e illegittima» per la quale la multiutility sta preparando i legali per il ricorso.

Manuela Pelati

SPRECHI A ROMA
MARIA EGIZIA FIASCHETTI

ROMA Deserto Capitale. Che la città più verde d’Europa (85 mila ettari, pari al 67 per cento del territorio) sia a secco, prima dei dati sulle precipitazioni lo dicono i parchi e le aiuole: una savana. Ma perché si è arrivati al punto di dover razionare le scorte (fino a otto ore al giorno) per un milione e mezzo di abitanti se, secondo la Regione, i prelievi dal lago di Bracciano coprono solo l’8% del totale? A sentire Acea la cifra è tutt’altro che ininfluente: 1.100 litri al secondo che corrispondono al fabbisogno medio giornaliero di una città di 400 mila abitanti.

La siccità

Il rischio che la città si ritrovi a secco inizia a concretizzarsi a fine giugno, quando le temperature da bollino rosso e gli anticicloni dai nomi apocalittici fanno presagire che sarà un’estate rovente. Le scarse precipitazioni — a Bracciano negli ultimi tre anni la media è scesa del 70% — spingono l’amministrazione a optare per la graduale chiusura dei nasoni, le fontanelle pubbliche in funzione 24 ore su 24. Se non fosse che, in un mese, la situazione precipita. Da venerdì — così stabilisce l’ordinanza della Regione Lazio — Acea (la multi-utility che gestisce la rete idrica partecipata al 51% dal Comune) non potrà più attingere acqua dal lago di Bracciano: il bacino a nord di Roma è sceso di 1,50 metri sotto lo zero idrometrico, in più punti si vede affiorare il fondo sabbioso e si teme il disastro ambientale. Risultato: a turno, metà della popolazione rischia di ritrovarsi con i rubinetti a secco.

Allarmi e allarmismi

Tra chi grida alla catastrofe — l’emergenza non risparmierà neppure gli ospedali e il Vaticano — e chi se la prende col riscaldamento globale, gli allarmi si rincorrono. Ma la domanda è: come far fronte alla siccità? Ed è qui che deflagra lo scontro istituzionale nel fuoco incrociato di veleni e recriminazioni. Nella polemica intervengono anche le associazioni ambientaliste, che da mesi lanciano l’Sos: «Il problema va affrontato con il consumo responsabile e l’adeguamento degli acquedotti colabrodo — insiste Roberto Sacchi, presidente di Legambiente Lazio —, non svuotando le riserve dei laghi».

Le possibili soluzioni

Sull’ exit strategy Paolo Saccani, presidente di Acea Ato 2, va all’attacco: «Il 4 luglio ho scritto alla Regione una nota di 18 pagine indicando una serie di interventi di breve, medio e lungo periodo, ma non mi hanno mai risposto». L’ingegnere ai vertici della municipalizzata prospettava la necessità di ridurre, nell’immediato, la dispersione idrica che a Roma è del 44% (la media nazionale è tra il 38 e il 40%).

Romani spreconi

Lotta agli sprechi, dunque, a cominciare dai romani che consumano 300 litri d’acqua al giorno mentre la media nazionale è di 245 litri per abitante. Ma, oltre a comportamenti più responsabili servono interventi strutturali: «Abbiamo proposto di raddoppiare l’acquedotto del Peschiera e di realizzare un impianto per rendere potabile l’acqua del Tevere che ora fornisce 500 litri al secondo per l’irrigazione dei parchi». Se entro la fine dell’anno Acea conta di riparare tutte le falle della rete idrica, lunga 5.400 chilometri, nel piano industriale di novembre annuncerà «investimenti importanti per l’ammodernamento».

Il rifornimento

Nella Capitale sono tre le principali fonti di approvvigionamento: l’acquedotto del Peschiera (9.100 litri al secondo), quello delle Capore (4.200 litri al secondo) e l’acquedotto Marcio (3.600 litri al secondo). Una riserva che, da venerdì, non potrà più essere implementata con i prelievi lacustri. L’impatto sull’abbassamento del livello idrico? «Un millimetro e mezzo al giorno, contro gli 8 millimetri che evaporano per la siccità — spiegano da Acea — . È chiaro che lo stop alle captazioni non risolverà un bel niente». E mentre i romani pensano a come districarsi con autobotti e bacinelle, dovranno studiare da formiche: non è più tempo di scialacquare.

Maria Egizia Fiaschetti

REPUBBLICA DI STAMATTINA
qua razionata come in tempo di guerra: da venerdì prossimo 8 ore al giorno di rubinetti a secco per un milione e mezzo di romani, metà della popolazione, fino alla fine dell’emergenza. Un lago, quello di Bracciano, riserva idrica della capitale d’Italia, che lentamente muore: sceso di un metro e mezzo per rifornire gli abitanti dell’Urbe, è diventato a tratti una specie di grossa palude dove i pesci boccheggiano e l’economia a prevalenza turistica crolla (-40% rispetto alla scorsa stagione). E il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti che annuncia misure straordinarie per «scongiurare innanzitutto un danno ambientale per il lago e allo stesso tempo evitare disagi a migliaia di cittadini, che rischiano di restare senz’acqua». Colpa dell’eccezionale siccità che ha colpito in particolare l’Italia centro-meridionale, certo. «A Roma e provincia le precipitazioni sono risultate in calo del 72% a luglio, dopo che la riduzione era stata del 74 a giugno, del 56 a maggio e aprile, mentre a marzo il calo è stato del 56%, a febbraio del 37 e a gennaio del 34, provocando una crisi idrica di portata storica», rileva la Coldiretti sulla base di dati Ucea. Anche se poi, a ben vedere, le ragioni vere stanno da un’altra parte: parlano di infrastrutture obsolescenti e maltenute, e di un’azienda, Acea, che pur avendo staccato negli ultimi anni dividendi a molti zeri — a beneficio soprattutto della controllante Campidoglio, che per il 2016 ha appena incassato 70 milioni — ha ridotto all’osso gli investimenti destinati all’ammodernamento della rete. Ridotta ormai a un colabrodo. Risultato? Sui 5.400 chilometri di condutture, la dispersione nella città eterna supera ormai il 44% contro una media nazionale del 39. Significa che a perdersi per strada è quasi la metà dell’acqua prelevata dai cinque acquedotti laziali, il principale dei quali, il Peschiera-Capore, fornisce il 70% del fabbisogno quotidianodi Roma. Colpa di tubazioni molto vecchie, risalenti a 30-50 anni fa — si legge nel Blue book di Utilitalia, la federazione dei gestori idrici — ma anche a causa di rotture e allacci abusivi. E poiché nella capitale l’acqua pubblica è tra le più economiche d’Europa, costa cioè 1,65 euro per mille litri, circa 34 euro all’anno per abitante, «ne servirebbero almeno 80 per avere una rete più efficiente », calcola lo studio. Tanto più che il fabbisogno giornaliero è parecchio alto: più di 200 litri di consumo pro capite al dì, rispetto ai 174,5 di media nazionale. E siccome la siccità ha anche ridotto la portata delle sorgenti laziali (-25% l’acquedotto Marcio, -13 il Capore), ecco che fin dall’anno scorso Roma ha dovuto ricorrere alla riserva del lago di Bracciano. Prosciugandolo. Al ritmo di 1.110 litri succhiati al secondo. Scatenando un’autentica guerra. A base di denunce e diffide. Condite pure da qualche cortocircuito. Uno dei sottoscrittori dell’esposto in Procura per disastro ambientale contro Acea, che secondo l’accusa starebbe distruggendo l’ecosistema lacustre, è infatti il “Consorzio Lago di Bracciano”. La presidente dell’assemblea consortile è Virginia Raggi, nella sua veste di sindaca della Città metropolitana. Ma Raggi è anche principale azionista di Acea, la società che starebbe danneggiando il lago. Con il curioso esito di riunire in sé il ruolo di accusatrice e accusata. Intanto, mentre il governatore del Lazio Nicola Zingaretti difende l’ordinanza regionale che blocca tutti i prelievi dall’invaso e parla di «tragedia: il livello del lago si è abbassato, si rischia la catastrofe ambientale, abbiamo 7 giorni per trovare una soluzione che limiti al massimo il disagio per i romani, ma è sbagliato chiudere gli occhi. Il problema è grave: sta finendo l’acqua a Roma », il presidente di Acea Ato2 annuncia ricorsi per poter proseguire la captazione. «Si tratta un atto abnorme e illegittimo», attacca Paolo Saccani: «Azzerare la derivazione fa risparmiare 1,5 centimetri, ma dovremo razionalizzare l’acqua ai romani, al Vaticano, ai palazzi istituzionali, alle ambasciate, alle attività produttive. Non faremo certo un bene all’immagine della capitale e dell’Italia». Con la sindaca Raggi che si limita a dirsi «preoccupata » e ad augurarsi che «Regione e Acea trovino presto una soluzione condivisa». Nemmeno una parola sullo stop ai prelievi dal lago. Che pure avrebbe dovuto incoraggiare. Il 14 giugno il M5S ha infatti depositato in Parlamento una risoluzione che chiede al governo di rivedere le concessioni siglate con i gestori degli Ato «al fine di sospendere o ridurre i livelli di captazione dai bacini idrici per evitare danni ambientali». Esattamente quello che la Roma grillina sta facendo a Bracciano.

LUCA MERCALLI

Una canzone dell’inglese Craig David uscita a fine 2003 si intitola: «You don’t miss your water ’til the well runs dry». Ovvero: «Non ti manca la tua acqua finché il pozzo non si prosciuga». In un’epoca nella quale i pozzi non sono più nel cortile di casa ma riservati agli addetti dei servizi idrici, sottratti alla vista dei più, collegati a una rete di serbatoi e tubazioni sotterranee, il nostro unico contatto con l’acqua è un rubinetto cromato. Lo apri, l’acqua esce a piacimento e ogni tanto paghi la bolletta. Fine della questione. Da dove arrivi quest’acqua, come venga potabilizzata e poi depurata una volta uscita dallo scarico, interessa alla moltitudine poco o nulla. Ma se per la siccità l’acqua viene a mancare ecco che di colpo tocca fare i conti con la realtà fisica del mondo, non quella contrattuale tra umani. Se acqua non ce n’è, non possiamo inventarla. Però possiamo riflettere su come l’abbiamo usata in epoche di abbondanza, domandarci quanta ne sprechiamo e attrezzarci per un futuro più assetato a causa del riscaldamento globale. I dati Istat 2015 dicono che i nostri acquedotti perdono il 38 per cento dell’acqua per strada, e questo è un problema di investimenti pubblici, ma individualmente possiamo fare la nostra parte visto che in media ogni italiano residente nei capoluoghi consuma 245 litri d’acqua potabile al giorno. La scelta di fare il bagno in vasca o una doccia da cinque minuti significa passare da 150 a meno di 50 litri, lo sciacquone dei moderni wc a doppio tasto permette di erogare secondo l’esigenza 3 litri o 4,5 litri, ma ci sono ancora in giro tante vecchie cassette da 9 o 12 litri, il cui volume può essere limitato con il trucco del mattone immerso all’interno. Una lavatrice in classe A o superiore riesce a fare un bucato da 5 kg con meno di 50 litri e una lavastoviglie ultima generazione fa un ciclo di lavaggio con meno di 10 litri, ovviamente vanno usate sempre a pieno carico. Quindi un abbattimento importante dei consumi viene sia dalla scelta di tecnologie efficienti, sia da abitudini virtuose. Il classico suggerimento di lavarsi i denti chiudendo il rubinetto, il che è di fatto un po’ scomodo, può anche essere riformulato facendo attenzione alla portata: il mio rubinetto, che è già dotato di frangigetto aeratore per la riduzione di flusso, tutto aperto sputa fuori circa 7 litri al minuto, se faccio scendere un filo d’acqua, sufficiente a sciacquare lo spazzolino, i litri al minuto calano a uno, l’85 per cento in meno, senza essere integralisti verdi. In un anno, con un paio di lavaggi al dì, vuol dire passare da 5000 litri a 700. Infine le perdite: la goccia che osservate pigramente da uno scarico wc o da un rubinetto può far fuori anche una decina di litri al giorno: da riparare subito! Per chi sta in appartamento quel che si doveva fare è fatto, e i risultati si vedono: personalmente, bollette alla mano, consumo in casa 103 litri al giorno contro i 245 della media nazionale, e non mi privo di alcuna comodità! Ma ora, per chi ce l’ha, usciamo in giardino: qui i consumi per irrigare un prato all’inglese possono diventare esorbitanti, e pure ai maniaci dell’auto lucida di acqua ne servono 150 litri per ogni lavaggio, restituita tra l’altro inquinata da polveri e detergenti. Moltiplicate questi numeri per 37 milioni di automobili e vedrete che solo un paio di lavaggi all’anno richiedono una decina di milioni di metri cubi d’acqua, il volume di una diga di medie dimensioni. Ho risolto il problema in due modi: per l’orto raccolgo dal tetto in cisterna l’acqua piovana, e la macchina non la lavo più.
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

pag. 1 di 3

IL BENE DELLA SICCITA’
Il governo ha deciso di attivare un piano di tutela degli agricoltori colpiti dall’emergenza siccità. Si tratta di un pacchetto di tre misure: attivazione del fondo di solidarietà nazionale, aumento degli anticipi dei fondi europei della politica agricola comune e uno stanziamento di altri 107 milioni per il programma di rafforzamento ed efficientamento delle infrastrutture irrigue che si aggiungono ai 600 milioni già messi a disposizione. Ma il caldo e la siccità non hanno solo fatto danni alle produzioni agricole ma ne hanno esaltato le caratteristiche qualitative. In questi giorni le principali organizzazioni agricole (da Coldiretti alla Cia-Agricoltori italiani, da Fedagri a Confagricoltura) stanno raccogliendo dati sull’andamento dei raccolti. Che cosa dobbiamo aspettarci?
La vendemmia, ad esempio, sarà fortemente anticipata. L’altro giorno si è riunito il coordinamento delle cooperative vitivinicole che producono il 58% del vino nazionale. L’unica cosa certa è che la qualità sarà elevatissima mentre per quanto riguarda la produzione molto dipenderà dalle condizioni meteorologiche delle prossime settimane. Di fatto è ancora presto per fare previsioni anche se le quantità saranno sicuramente inferiori a quelle dell’anno scorso. Dalle riflessioni di Fedagri-Confcooperative viene fuori una mappa variegata: nella zona del Chianti si stima un calo intorno al 25%, in Piemonte tra il 10 e il 15%; percentuali simili in Emilia e Romagna e nell’Oltrepo pavese. In Puglia si dovrebbe registrare un lieve calo.
Secondo la Cia-Agricoltori italiani per l’olio d’oliva si preannuncia un’annata difficile per i volumi di produzione con contrazioni fino al 40% rispetto alle migliori performance. La qualità al contrario dovrebbe essere buona. La Coldiretti, invece, sottolinea come l’ondata di caldo abbia avuto effetti positivi sulla coltivazione del grano che «quest’anno a fronte di una forte riduzione quantitativa ha una qualità elevatissima, sia in termini di contenuto proteico sia per quanto riguarda i parametri di panificazione o di pastificazione».
Anche il pomodoro da industria, dove si è potuto irrigare, sarà di grande qualità con la produzione di ottime conserve rosse. Secondo Coldiretti, poi, tutti i vegetali con il grande caldo mettono in atto meccanismi di difesa per contrastare le alte temperature e la siccità con una riduzione della produzione ed una elevata perdita di acqua per traspirazione, con concentrazione dei succhi organici, elevato tenore zuccherino. Si attendono, dunque, minori raccolti ma di qualità elevata anche perché per l’eccessivo calore non si sviluppano le patologie fungine che attaccano le piante e che sviluppano tossine (micotossine) pericolose per la salute. E’ questo il motivo della grande qualità della frutta tipicamente estiva di questo periodo, pesche, nettarine, susine, ma anche angurie e meloni, dolcissimi e ricchi di sali minerali fondamentali per combattere il caldo e la disidratazione.
E poi ci sono le patate. Secondo Fedagri qualche criticità si potrebbe registrare per quanto riguarda il raccolto delle patate perché dalle prime scavature si denota una minor produzione anche se per avere certezze sulle dimensioni del calo bisognerà attendere almeno tre settimane. Per la Cia, invece, per i funghi potrebbe essere una pessima annata e solo «abbondanti precipitazioni d’agosto potrebbero salvare la stagione che altrimenti sarà la più scarsa degli ultimi 10 anni».