La Stampa, 22 luglio 2017
Venerdì di sangue per la Spianata delle Moschee
Scontri a Gerusalemme, morti 3 palestinesi. Attaccato un insediamento in Cisgiordania: uccisi tre israelianiDoveva essere il venerdì della rabbia, è stato il venerdì di sangue. Le proteste di massa dei palestinesi, per «difendere la moschea di Al-Aqsa», si sono trasformate in guerriglia e si sono estese da Gerusalemme all’intera Cisgiordania, mentre le organizzazioni religiose musulmane, in tutto il mondo arabo, chiamavano i fedeli alla lotta. Il bilancio ieri sera era di 3 morti e oltre 100 feriti, 66 per colpi di arma da fuoco, più centinaia di intossicati dai gas lacrimogeni. A cui si aggiungono tre israeliani accoltellati a morte a Halamish, in Cisgiordania, bersaglio, secondo le prime ricostruzioni, di un attacco terroristico in tarda serata.
L’attentato di una settimana fa, quando due agenti israeliani sono stati uccisi da un commando di tre palestinesi all’ingresso della Spianata delle Moschee, ha innescato un nuovo ciclo di violenze. Proprio quello che volevano gli organizzatori dell’attacco, non ancora rivendicato. Ma il detonatore delle proteste è stata la decisione del premier Benjamin Netanyahu di mettere metal detector a tutte le entrate della Spianata, Monte del Tempio per gli ebrei, perché lì erano state «nascoste le armi usate dai terroristi».
Subito dopo l’attacco il premier israeliano aveva annunciato misure restrittive, ma «senza cambiare lo status» della Spianata, sacra per gli islamici. Lo «status» è un equilibrio delicato, che coinvolge anche la Giordania e affida ad al Waqf, un’associazione religiosa musulmana, la gestione del sito. Ma proprio il Waqf accusa Israele di non averlo consultato e di aver cambiato lo «status» in modo unilaterale, e i palestinesi si rifiutano di passare attraverso i metal detector. Il Gran Muftì di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Hussein, ha chiamato allora al boicottaggio della preghiera all’interno delle moschee, «finché non si potrà pregare di nuovo» in quella di Al-Aqsa. In migliaia si sono radunati nelle strade e nelle piazze. Ieri anche l’Unione internazionale degli Ulema, con sede in Qatar, ha invitato i musulmani a unirsi al «venerdì di rabbia». Le misure di sicurezza erano imponenti. Tremila poliziotti schierati attorno alla Città vecchia, mentre ai posti di blocco venivano fermati tutti gli uomini sotto i cinquant’anni. Ma migliaia di palestinesi si sono radunati comunque alla Porta dei Leoni.
Le forze di sicurezza hanno arrestato una decina di attivisti, compreso Hatem Abdel Khader, leader di Al-Fatah. La polizia ha lanciato granate assordanti, lacrimogeni, per disperdere i manifestanti. Ha sparato proiettili di gomma. Uno avrebbe ucciso un diciassettenne. Poi il fatto più grave. Un israeliano, pare residente in un insediamento a Gerusalemme Est, ha colpito, probabilmente con una pistola, e ucciso un giovane.
Un terzo palestinese è morto ad Abu Dis, in Cisgiordania. Ma il bilancio ieri sera si aggravava di ora in ora. I palestinesi parlano di «390 feriti». Molti sono intossicati dai gas lacrimogeni. E la battaglia rischia di essere lunga. Il fronte palestinese, esausto per la spaccatura fra Al-Fatah e Hamas, si ritrova di colpo unito. Il presidente Abu Mazen ha riunito d’urgenza l’Olp e chiesto «la rimozione immediata dei metal detector». Poi ha annunciato lo stop dei contatti a tutti i livelli con Israele. Ma a cavalcare la protesta è soprattutto Hamas. Il leader politico Ismail Haniyah ha intimato a Israele a non «superare la linea rossa, Al-Aqsa e Gerusalemme».