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 2017  luglio 22 Sabato calendario

La ricetta impazzita del raider francese

Peggio dell’italico capitalismo alle vongole, ecco che s’avanza il capitalismo alle “crêpes”. Anzi – per precisione gastronomica e geografica – il capitalismo alle “galettes”.
Quelle sfoglie di grano saraceno tipiche della Bretagna da dove arriva l’ardito capitano d’azienda, l’avventuroso raider finanziario e – ieri solo l’ultimo esempio – il sommo sprezzatore delle regole di mercato ad ogni latitudine che risponde al nome di Vincent Bolloré. Ma la “galette” di Monsieur Bolloré, con il doppio ripieno di quote Telecom e Mediaset, si sta trasformando da piatto stuzzicante a rischioso esperimento di gastrofinanza indigesto per molti; forse anche per il suo disinvolto creatore.
Dunque Bolloré, attraverso la “sua” Vivendi, che in realtà controlla solo al 29,9% e che ha il 23,9% della Telecom, decide adesso la separazione consensuale con l’ad della compagnia italiana Flavio Cattaneo. Un manager che lui stesso aveva scelto un anno fa e al quale aveva garantito con le casse della Telecom – quindi con i soldi di tutti i soci, mica con i suoi – uno stratosferico piano di incentivazione che nel migliore dei casi avrebbe fruttato all’ad 40 milioni di euro. Purtroppo lordi.
Ma il Bolloré che fa e disfa le strategie di Telecom e cambia manager come altri cambiano i tappeti, quello che mette alla presidenza della società il fidato e adeguatamente aristocratico Arnaud de Puyfontaine, quello che si assicura che nel comitato nomine della società ci siano tre consiglieri su cinque che fanno riferimento al suo gruppo, non vuole essere considerato – nonostante tutte le apparenze dicano il contrario – socio di controllo della compagnia telefonica, ma semplice azionista di maggioranza.
Lo ha detto a chiare lettere la stessa Vivendi nella sua relazione trimestrale dello scorso maggio: «Non ha il potere – sostiene – di dirigere le politiche finanziarie ed operative di Telecom Italia». Misteri del capitalismo contemporaneo e delle regole societarie, visto che Vivendi ha solo il controllo “di fatto” della compagnia e questo – secondo le norme francesi – le ha consentito finora di non consolidare Telecom e quindi di non accollarsi in bilancio il suo debito lordo di 32,7 miliardi. Ma anche innegabile abilità del raider bretone nel mettere insieme – complice le mancate resistenze sul mercato e una certa inefficacia delle regole – una campagna d’Italia che oltre a Telecom punta anche alla conquista della Mediaset del suo vecchio amico Silvio Berlusconi. Una vicenda, questa, che pare una commedia degli equivoci: prima Vivendi firma un contratto per prendere l’89% di Mediaset Premium, la sfortunata creatura a pagamento di Pier Silvio Berlusconi; poi straccia il contratto sostenendo che gli è stata promessa una Ferrari e invece si è ritrovata una vecchia Cinquecento... Il risultato è una guerra giudiziaria con Mediaset e una scalata in piena regola al Biscione da parte dei francesi, che si fermano al 29%, un passo sotto la soglia dell’Opa obbligatoria.
Nella vicenda Telecom, comunque, ci sono parecchie cose che non quadrano. Perché il socio francese ha accettato appena un anno fa una clausola-capestro che dava al nuovo amministratore delegato ogni incentivo a farsi cacciare da Telecom? A rigor di logica non ci sono risposte, se non quella che l’azionista Vivendi avesse per l’appunto un interesse di breve periodo: far salire il più possibile le azioni del gruppo grazie alla cura da cavallo che Cattaneo prometteva di somministrare e poi usare quelle azioni rivalutate per un’operazione straordinaria. Due le piste: la vendita alla francese Orange o una fusione proprio con Mediaset. In quel caso Cattaneo sarebbe stato abbandonato al suo destino con la solida garanzia della clausola plurimilionaria.
Ma non è questa la sola cosa difficile da capire. Perché, ad esempio, Cattaneo è andato in rotta di collisione frontale con il governo sul tema della banda larga, cominciando ad investire anche nelle aree in cui Telecom aveva detto di non voler operare? La sua è una posizione all’apparenza inattaccabile: ha difeso – con la mancanza di diplomazia che gli è propria – gli interessi della società di fronte all’offensiva nel settore delle tlc portata avanti dall’Enel in cerca di legittimazioni politiche. Ma è difficile pensare che l’ad di Telecom non fosse conscio che il suo atteggiamento da cowboy non avrebbe irritato gli azionisti francesi, già abbastanza carichi di interessi e di guai in Italia. Che abbia cercato anche lui lo scontro con il socio forte in un’ottica – di sicuro redditizia – di breve periodo?
Quel che appare evidente, adesso, è che Bolloré sembra essersi messo in un vicolo cieco da cui dovrà faticare per uscire, con addosso gli occhi della magistratura, dell’Antitrust, dell’Agcom, che in aprile gli ha imposto di scendere entro un anno in una delle due società italiane, e buona ultima della Consob. Il titolo Telecom vale il 15% in meno di quando Cattaneo è arrivato e una società sempre più “bollorizzata” non pare destinata a grandi successi diplomatici con il governo italiano ed è legittimo attendersi che Palazzo Chigi, pur nel rispetto dovuto alle vicende di una società privata e quotata, non sia del tutto passivo di fronte alle sorti di un’azienda che in altre nazioni finirebbe senza dubbio nella sfera dell’interesse nazionale. Il casus belli creato da Cattaneo resta poi aperto: meglio per la società e tutti i suoi azionisti cercare un’intesa con il governo o meglio invece difendere il proprio investimento nella rete combattendo su ogni fronte la concorrente Open Fiber controllata da Enel e Cassa depositi e prestiti? In quanto alla partita Mediaset, Berlusconi si appella alla magistratura ma per sicurezza preferisce anche fare da solo: all’ultima assemblea, con il provvidenziale aiuto azionario di un vecchio amico vero come Ennio Doris, si è assicurato una blindatura che impedirà a Bolloré di conquistare la maggioranza assoluta. La “galette” può essere piatto appetitoso, ma se si fredda troppo – ogni bretone lo sa – diventa immangiabile.