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 2017  luglio 23 Domenica calendario

«Inter, rivoglio la Champions: il Milan me la tolse in modo strano...». Intervista a Borja Valero

Borja Valero è una mosca bianca in un mondo del calcio tutto muscoli, milioni e PlayStation. Un pensatore che si è prefisso di fare di tutto per riportare l’Inter al vertice del calcio mondiale. Ma che nel privato entra in un mondo parallelo fatto di arte, letture, viaggi, sushi e tanta famiglia.
Borja Valero, lei ha iniziato nel Real Madrid, poi Maiorca, West Bromwich, Villarreal e Fiorentina. Ora ritrova una società che ha fatto la storia del calcio.
«Vero, l’Inter è un club di livello mondiale e per me si tratta di una grande sfida personale».
L’Inter è stata l’ultima italiana a vincere la Champions, coppa che lei non ha mai giocato nel nostro Paese.
«Ci sono andato molto vicino nel mio primo anno a Firenze, nel 2013, ma il Milan ci soffiò il terzo posto in un modo strano... La Champions è la più bella competizione del mondo, vorrei tanto tornare a giocarla».
Lei è rimasto tifoso madridista?
«Certo. Ancor più di me, lo sono mia moglie Rocio, che è sfegatata e ha l’abbonamento da quando ha 9 anni, e mio figlio Alvaro. Potete immaginare da che parte stessimo nella finale di Cardiff...».
A proposito, ma lei alla Juve sarebbe mai andato?
«No, mai. Anche perché so cosa significa per un tifoso fiorentino».
Lo prendiamo come un messaggio a Bernardeschi?
«Ognuno fa le scelte che crede».
A Firenze la Juve l’ha già battuta più di una volta...
«La Juve è forte, ma non imbattibile. Basta affrontarla senza timore, guardandola negli occhi. Lo hanno confermato squadre che ora le sono più vicine e che hanno mostrato un ottimo calcio».
Con il Milan che si è rinforzato non sarà facile per l’Inter entrare tra le prime quattro.
«Credo che sarà una lotta a cinque, con Juve, Roma e Napoli che negli ultimi anni hanno dimostrato di essere le migliori».
La Roma però ha ceduto alcuni big. Dovrete fare la corsa sul Milan e sui giallorossi?
«Troppo presto per dirlo, da qui alla fine del mercato possono succedere tante cose. E sono sicuro che il mio sosia Monchi piazzerà dei bei colpi. La sua storia a Siviglia parla chiaro».
A proposito di mercato, l’Inter è vicina a Vecino, suo compagno a Firenze. Che giocatore è?
«Un ragazzo giovane e molto forte, con grandi margini di miglioramento. Quando parte palla al piede è molto difficile fermarlo. E ha un buon tiro».
Buffo che l’unica doppietta Matias l’abbia fatta proprio all’Inter...
«Vero. Buffo anche che proprio all’Inter io abbia segnato il mio unico gol di testa».
Invece Spalletti che allenatore è?
«Lo conoscevo soltanto dall’esterno. È molto disponibile e simpatico, pure qui con i tifosi cinesi. Credo che lo si veda anche da fuori. Ma state certi che quando le cose non vanno bene sa farsi sentire dentro allo spogliatoio: proprio quello che ci serve».
Nel finale della scorsa stagione l’Inter non ha saputo essere squadra. In questo senso quanto potrà essere importante il suo contributo?
«Non so se il problema fosse che non giocavano da squadra, ma di sicuro qualcosa non ha funzionato perché con la qualità che avevano sono arrivati solo settimi. Se mi hanno preso è anche perché, oltre a essere un centrocampista che può giocare in diverse posizioni, sono una persona seria e tranquilla – mi hanno soprannominato Quiet Man – che può dare una grande mano anche fuori dal campo. Certe partite si iniziano a vincere nello spogliatoio e in allenamento». 
Lei sarà anche tranquillo, ma nel 2014 ha preso 4 giornate dopo essere stato espulso da Gervasoni in un Genoa-Fiorentina...
Ride come un matto: «Un episodio assurdo, con l’arbitro ne abbiamo riparlato tempo dopo quando ci siamo rivisti, ma ognuno è rimasto della sua idea. Nel referto ha detto che avevo messo le mani addosso a un avversario e poi spinto lui. Ma gli avevo solo toccato un braccio perché si girasse e potessi spiegarmi. Al tempo mio figlio aveva 4 anni e ci rimase molto male. Tutta esperienza».
Che impressione le hanno fatto la famiglia Zhang e il mondo Suning?
«Per ora ho conosciuto solo Steven, che ci ha salutato prima della partenza. Ma vedere che azienda hanno creato mi ha fatto un’impressione enorme. Ora che hanno preso l’Inter, spero che ci siano i presupposti per tornare ai vertici».
Cosa si sente di promettere ai tifosi nerazzurri?
«Che faremo di tutto per tornare in Champions. Personalmente continuerò ad allenarmi con l’entusiasmo di un bambino per farmi trovare pronto. E se anche starò in panchina, sono arrivato in una fase della mia carriera in cui che posso dare un contributo in tanti modi diversi».
Che cosa ha detto la partita contro lo Schalke 04?
«Abbiamo fatto una buona prestazione, eravamo messi bene in campo e malgrado un caldo tremendo ci siamo procurati diverse palle gol. Siamo sulla strada giusta, ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Anche a livello personale. Le sensazioni sono quelle giuste».
Veniamo al privato. Anche la sua famiglia è molto legata a Firenze. Resteranno lì o verranno a Milano?
«Non scherziamo, non potrei vivere senza mia moglie e i miei figli! Appena trovo casa si trasferiranno a Milano, credo in centro. E nei lunedì liberi ne approfitteremo per andare a trovare gli amici fiorentini».
Il legame con Firenze è così forte che si è fatto tatuare sul braccio le coordinate del Ponte Vecchio.
«Sì, un giorno con mia moglie e due amici fiorentini abbiamo deciso di scriverci per sempre sulla pelle l’amore per quella città».
Quando ha capito che la sua avventura in viola non sarebbe proseguita?
«Già all’inizio della scorsa stagione, con il cambio della direzione sportiva, ho avvertito segnali poco belli e che si stava rompendo qualcosa. Poi la certezza è arrivata a giugno, quando l’Inter si è fatta avanti con tanta insistenza».
Perché ha ringraziato pubblicamente i Della Valle, se sono loro che stanno sopra a Pantaleo Corvino, il dirigente con cui lei non ha legato e che non nomina mai?
«Perché sono stati i Della Valle ad avermi portato a Firenze. Se poi loro hanno scelto quella direzione sportiva, capisco che non possano contestarne le scelte».
Sappiamo che è «malato» di sushi. Come mai?
«È nato tutto nel 2008, quando sono arrivato al West Bromwich. Il cibo inglese non è il massimo e dopo tanta pasta ho scoperto anche la cucina giapponese. Ora ogni venerdì mangio sushi con mio figlio».
Che è un patito di calcio. In che ruolo gioca?
«Ha appena sette anni, ma gli piace stare in mezzo al campo a smistare il gioco».
Proprio come lei. Eppure non ci sembra il classico padre che spinge il figlio a giocare a tutti i costi.
«Anzi, ho tentato l’impossibile per farlo desistere. Perché provasse altri sport. Ma non c’è stato niente da fare. La cosa che conta però è che sia una brava persona e che sia felice. È scatenata anche mia figlia Lucia».
Cosa farà Borja Valero a fine carriera?
«Non mi vedo ancora nel calcio. Anche le mie amicizie si sono quasi sempre sviluppate fuori dall’ambiente lavorativo. Se te ne stai chiuso in casa non conosci altre teste, altre culture. Per il futuro, mi piacerebbe tornare a studiare, cosa che ho trascurato da ragazzo, viaggiare, anche con lo zaino in spalla, godermi la vita e quegli interessi che il calcio mi ha impedito di coltivare. Noi calciatori siamo dei privilegiati, è verissimo, ma da fuori non si capisce quanto sia difficile dedicare tempo al privato e ai figli».
Da anti personaggio, non la immaginiamo in ritiro a giocare alla PlayStation. 
«Proprio no! Preferisco rilassarmi, leggere, anche se non ho ancora avuto il coraggio di farlo in italiano, visitare un museo se posso, guardare il basket Nba (tifo Knicks, ma non è un bel periodo, e che spettacolo Golden State) o stare al telefono con la mia famiglia. Mia moglie tra l’altro è giornalista, quindi certe dinamiche della comunicazione le capisco meglio».