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 2017  luglio 22 Sabato calendario

Telecom, in uscita Cattaneo dopo lo scontro con Vivendi. L’ipotesi di un’indennità tra 25 e 30 milioni

L’arrocco è finito. L’ad di Telecom Italia, Flavio Cattaneo, porterà la semestrale al consiglio del 27 e poi chiuderà il suo impegno nell’azienda telefonica dopo soli 16 mesi. Le voci di un accordo imminente non si erano fermate, nemmeno dopo le dichiarazioni distensive del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che sembravano aver rasserenato i rapporti col Governo e nemmeno dopo l’apertura di un’istruttoria Consob. intenzionata a verificare la reale influenza nella gestione del gruppo di Vivendi, azionista al controllo di fatto col 23,9% del capitale ordinario. Ieri pomeriggio è stato raggiunto l’accordo per il divorzio «consensuale». I termini economici non sono stati resi noti, ma si parla di una buonuscita tra i 25 e i 30 milioni.
Così già lunedì – è stato comunicato ufficialmente – si riuniranno il comitato nomine e remunerazione per il parere consultivo e il consiglio di amministrazione per «l’esame della proposta di definizione consensuale dei rapporti fra la società e i dottor Flavio Cattaneo». La motivazione non è nemmeno la rottura del rapporto fiduciario tra l’azionista di maggioranza e l’ad, che era stato voluto e scelto proprio dai francesi con tanto di contratto d’ingaggio da superstar, bensì la volontà di portare a bordo l’ex ad della società brasiliana Gvt, l’israeliano Amos Genish, che da inizio anno è chief convergence officer nella media company transalpina.
Il nome di Genish era già circolato tra i nomi spendibili per il rinnovo del cda (all’assemblea del 4 maggio), ma nel lasciare Telefonica – che ha rilevato Gvt da Vivendi, strappandola proprio a Telecom che da anni la corteggiava – il manager aveva dovuto firmare un patto di non concorrenza che, in parte, scade proprio questo mese. Resta infatti ancora fino all’anno prossimo il vincolo per quanto riguarda il Brasile, dove Telecom è presente con Tim Brasil. Per questo, sebbene di fatto Genish sia destinato a rilevare la guida operativa, il suo inquadramento in azienda per ora non potrà che essere alla direzione generale, senza ingresso in consiglio. Lo schema più accreditato è di conseguenza ancora quello del triumvirato, con il presidente esecutivo Arnaud de Puyfontaine (che è anche ceo di Vivendi), l’ex presidente Giuseppe Recchi come vice-presidente esecutivo o ad, e Genish, appunto, direttore generale. Le deleghe sulla controllata dei cavi internazionali Sparkle e sulla sicurezza, che oggi sono concentrate nelle mani di Cattaneo, non potranno comunque andare a uno straniero.
Lunedì, se il board darà l’ok all’accordo raggiunto ieri, saranno avviate le consuete procedure con l’aiuto di un cacciatore di teste. Procedura che era stata attivata anche dopo la risoluzione anticipata del rapporto con l’ex ad Marco Patuano, sebbene Vivendi da Parigi avesse in parallelo vagliato le candidature: la scelta era caduta proprio su Cattaneo.
Non dovrebbero esserci sorprese al comitato nomine dove – dal 15 giugno – è presidente Anna Jones, fino a febbraio ceo del gruppo editoriale Hearst, di cui era stato ceo De Puyfontaine prima di approdare a Vivendi. Gli altri componenti sono il cfo della media company transalpina Hervé Philippe, il capo del legale Frédéric Crépin e i consiglieri della lista Assogestioni Ferruccio Borsani e Danilo Vivarelli.
In teoria potrebbe essere più incerto l’assenso – vincolante – del consiglio, dove 10 consiglieri su 15 sono classificati come indipendenti. Quale è l’interesse aziendale a corrispondere un assegno di decine di milioni a un manager che in poco più di 15 mesi ha recuperato più di 1 miliardo di Ebitda? Sembra un po’ debole la spiegazione che dopo una fase di ristrutturazione (termine atipico per un gruppo come Telecom che già godeva dei margini più alti tra gli incumbent europei) adesso si vuole cambiare passo. Ma tant’è.
Resta il fatto che il mercato – azionista di maggioranza col 76% – in consiglio è rappresentato solo da cinque consiglieri su 15, tanti quanti ne sono stati proposti dalla lista dei fondi, che quindi non avrebbe potuto avere maggior peso nemmeno nel caso in cui, come è già successo in passato, avesse ottenuto la maggioranza dei voti in assemblea.