La Gazzetta dello Sport, 22 luglio 2017
Bonucci si confessa: «Lo sgabello fu decisivo. Ora tutta la mia fame per il Milan»
«Ho paura a starvi in mezzo...». Curioso: uno dei calciatori più temerari mai generati dal dio del pallone che si inquieta ad avere di fianco i due dirigenti che gli hanno messo in mano il Milan. Forse Leonardo Bonucci, non appena si è seduto su quella poltrona, affiancato da Marco Fassone a destra e Massimo Mirabelli a sinistra, davanti alla telecamera spalancata sul mondo dei social, ha avuto un flashback. Forse gli sono ripassati davanti tutti insieme i sette anni di Juve e si è reso conto che in quel momento stava per presentarsi ufficialmente al mondo rossonero. Un’altra vita, un’altra storia. O forse ha semplicemente capito che avrebbe dovuto affrontare qualche argomento scomodo. Che poi, dovuto non è la parola corretta: Leo ha voluto. Voluto fare chiarezza: la sua chiarezza. Il suo punto di vista da «persona schietta, diretta e sincera come sono sempre stato».
Magari sarà stata la prima e l’ultima volta che ha affrontato determinati argomenti, ma di certo il suo pensiero adesso è nitido. Di sicuro avrebbe preferito un atterraggio un po’ più soft sul pianeta rossonero. Ma non si può: Leo si porta dietro un mondo intero, e l’arrivo al Milan è stato accompagnato dal mistero della maglia. Mistero risolto: quando l’ha girata, è comparso il numero 19. Lo si era capito già il giorno precedente, ma mancava ancora l’ufficialità in una storia dove l’altro pretendente, Kessie, ha fatto una fatica dannata – eufemismo – a rinunciare. Franck giocherà col 79. «In questo spogliatoio sono entrato in punta di piedi, ho parlato con Kessie e ci siamo accordati – racconta -. Lo ringrazio, lui è un ragazzo intelligente e sensibile, è stato un grande investimento per questo club. Per me la 19 è importante, ci ho fatto affidamento nei momenti difficili nella vita personale e nella carriera, quindi grazie ancora». «Colgo l’occasione per ringraziare Kessie per la sua disponibilità a nome della società», gli fa eco Fassone. Per lui e il d.s. Mirabelli questa è la decima volta in poche settimane con un giocatore nuovo seduto in mezzo a loro. «È uno straordinario rinforzo fortemente voluto – spiega l’a.d. -, nato da un’idea quasi impossibile, sviluppato sulla base di alcune chiacchierate con Mirabelli. Devo essere sincero: già alla prima telefonata Leo mi ha detto che nulla è impossibile, e da quel momento in poi le cose sono procedute abbastanza velocemente. Completa un mosaico basato su quell’idea di mix fra giovani di talento e leader esperti che renderanno la strada più facile». Ribadisce Mirabelli: «Nulla è impossibile, un concetto che deve rimanerci impresso». Leo sfodera il sorriso delle grandi occasioni: lo slogan gli piace.
Confermiamo l’impressione dei primi allenamenti: è davvero strano vederla con altri colori addosso.
«Un po’ fa strano anche a me vedermi con questo stemma e questi colori, ma io sono uno che dà tutto e anche di più per la maglia che indossa. Sono uno che scende in campo anche quando non sta bene, se occorre. L’ho fatto per il Bari, per la Juve e per la Nazionale. Lo farò anche per il Milan».
Che cosa significa giocare per questa squadra?
«L’approccio con il Milan è stato subito intenso. La Juve mi ha fatto diventare importantissimo, ma si apre una nuova pagina con le stesse ambizioni: voglio, assieme ai compagni, far tornare grande questa società. Il Milan merita di indossare un vestito migliore sia in Italia che in Europa. In poche parole: merita di tornare in alto. La società ha fatto grandi investimenti sul mercato grazie all’occhio lungo di Fassone e Mirabelli. Adesso sta a noi aumentare l’entusiasmo della gente con le vittorie».
Passare dal Milan alla Juve, però, non è ordinaria amministrazione.
«Io vivo di sfide e questa è affascinante, è una scommessa anche su me stesso. Mi sono rimesso in discussione, e a 30 anni non so quanti lo avrebbero fatto. Per me avere fame è fondamentale, ti fa dare qualcosa in più quando le forze mancano. Ho sposato un progetto ambizioso, per il quale ora metto a disposizione la mia esperienza».
Nel suo post dell’altro giorno ha fatto accenno anche alla storia del Milan.
«Certamente, perché quando ero piccolo ero affascinato dalla leggenda rossonera. Giocatori come Nesta, Maldini... Poi Nesta è stato il mio idolo quando sono diventato calciatore».
Lei e Romagnoli come i nuovi Nesta e Thiago Silva: le suona bene?
«Per suonare bene, suona bene. Speriamo, io mi metterò a disposizione di chi c’era già, e loro mi spiegheranno com’è il mondo Milan, che è molto diverso dal mondo Juve. Sei anni di vittorie con la Juve mi hanno fatto diventare un leader, ma qui entro in punta di piedi. Semplicemente, la squadra sa che potrà contare sulla mia esperienza e ai miei compagni dico che nulla è impossibile».
Ha un segreto da trasmettere ai compagni in base alla sua esperienza?
«Vedo che al Milan c’è tanto entusiasmo e propensione al sacrificio. Ecco, il segreto sta nella fame del gruppo. Questo club deve cancellare momenti non proprio esaltanti, come quelli delle ultime stagioni, con un’annata di grande spessore. Sono stato accolto benissimo, ora occorre trovare le chiavi giuste per amalgamare la squadra. Qui inizio con un preliminare europeo di Europa League, proprio come avvenne in bianconero: speriamo che sia di buon auspicio».
Per ora ci abbiamo girato intorno, ma la domanda è spontanea: perché ha lasciato la Juve?
«La vita è fatta di cicli che si aprono e chiudono, e quando fai parte di un gruppo per sette anni speri di lasciare qualcosa di bello. Diciamo che nell’ultima parte della stagione il legame si è affievolito da entrambe le sponde e abbiamo deciso in accordo di allontanarci».
Affievolito?
«Negli ultimi mesi si è sgretolato qualcosa. E cambiare è stata la conseguenza. Per dare il 100% io devo sentirmi importante, cosa che ormai succedeva a fasi alterne. E questo non mi andava. Anche i matrimoni più belli a volte finiscono».
Non c’era proprio margine per ricucire?
«La premessa è che alla Juve ho dato tanto e dalla Juve ho ricevuto tanto. Per me non è stata una scelta facile perché sette anni sono difficili da chiudere e da dimenticare. Ma il rapporto era arrivato alla conclusione, da parte di entrambi non c’era più voglia di continuare insieme. Però devo dire che per come è finita, ne siamo usciti tutti bene: io, la Juve e il Milan».
Che è stato della BBC, Barzagli-Bonucci-Chiellini?
«Con i compagni ci sono stati momenti nei quali abbiamo parlato e affrontato problematiche. Ognuno ha il proprio carattere, ma con loro ho sempre avuto grande rapporto. Nello spogliatoio non è successo nulla di quanto è stato detto».
Vale lo stesso per Allegri? C’è chi sostiene che lei sarebbe rimasto dov’era se l’allenatore avesse lasciato Torino.
«Con i se e con i ma si combina poco. Con lui ho avuto un rapporto alla luce del sole, ho giocato tanto e se è successo è perché sono stato considerato importante. Avere discussioni durante gli anni è normale, e io sono uno diretto che dice sempre la verità. Ma con lui non ho avuto alcun tipo di problema. Poi, è ovvio che alcune situazioni portano delle conseguenze e ognuno si prende le proprie responsabilità».
Si può dire che lo «sgabello di Porto» è stato la fine di tutto?
«Pare che sia stata la cosa più eclatante, ma in realtà è solo la goccia finale. Già prima c’erano state altre situazioni. Poi, comunque, la cosa si era ricomposta».
Domanda da cento milioni: che accoglienza si aspetta dai tifosi bianconeri?
«Per quello che ho dato alla Juve, non mi sento né un traditore né un mercenario. Se dovessero fischiarmi devono sapere che, così come gli insulti che ricevevo in bianconero mi caricavano, sarà così anche nel caso mi fischiassero allo Stadium».
Forse è meglio chiudere con una domanda leggera: i suoi figli tifano Toro e Juve, come la mettiamo ora che è milanista?
«Resteranno così come sono, liberi... Il più grande è un tifoso del Toro bello convinto, non gli si può togliere nulla di granata dalla cameretta, ma magari nel trasloco a Milano cambia fede...».