il venerdì, 14 luglio 2017
Groenlandia, la lunga notte
UMMANNAQ (Groenlandia) Otto minuti. È il tempo che hanno avuto gli abitanti del piccolo villaggio di Nuugaatsiaq, all’estremità meridionale di un’isola della baia di Baffin, per mettersi in salvo prima che le gigantesche onde sollevate dalla caduta in mare di un pezzo della montagna antistante travolgessero tutto. Otto minuti durante i quali i più sono riusciti ad arrampicarsi sui pendìi, per sfuggire allo tsunami che ha spazzato via questa minuscola comunità adagiata sulle sponde del fiordo di Uummannaip nella Groenlandia nordoccidentale, 500 chilometri sopra il Circolo polare artico. È successo sabato 17 giugno, alle 21 e 40 ora locale. «Era nuvoloso, non c’era molta visibilità» racconta Jens Ole Jensen, un pescatore che in quel momento si trovava con la moglie in barca all’imboccatura del Karrat fjord, d< vanti allo stretto di sei chilometri eh separa Nuugaatsiaq dall’isolotto disab tato di Karrat 0, dove un intero promor torio è venuto giù. «All’improvviso abbia mo sentito un forte rumore» continui «Dapprima ho pensato si trattasse di un aereo. Poi ho visto una gran nuvola d polvere sollevarsi, e ho dato gas per allon tanarmi il più velocemente possibile. I mare ha cominciato ad agitarsi, non he mai visto nulla di così spaventoso». I’ pescatore ha fatto in tempo a lanciare ur allarme radio, e a trovare un riparo prima che le onde colpissero tutto quello che incontravano in un raggio di diverse decine di chilometri. Il bilancio provvisorio parla di 11 case distrutte, nove feriti (di cui due gravi) e quattro dispersi.
Il villaggio di Nuugaatsiaq, il più settentrionale degli otto insediamenti del fiordo, una vecchia stazione baleniera in declino che contava ancora una quarantina di abitanti, tutti dediti alla pesca con metodi tradizionali (narvali soprattutto), di fatto non esiste più. Circa duecento persone sono state evacuate da Nuugaatsiaq e da altri villaggi colpiti dal maremoto,come Illorsuite Niaqomat.e trasferite a Uummannaq, il porto più grande della baia, 60 chilometri più a sud. «Non sappiamo se e quando potranno tornare» spiega Tobias Berg, uno degli inquirenti, «perché ancora non conosciamo la causa di questo cedimento, e non possiamo escludere altri crolli».
Secondo i primi rilevamenti del Geus, l’Istituto geologico che fa capo al ministero dell’energia e del clima danese (la Groenlandia ha una sua autonomia di governo ma ricade sotto la sovranità di Copenaghen), il cataclisma sarebbe avvenuto in coincidenza con una scossa di terremotodi4,l gradi della scala Richter, che avrebbe provocato il distacco di un’enorme parete rocciosa, una massa alta mille metri e larga 300, da un fianco dell’isola di Karrat 0. Un fenomeno che a giudizio di Stefan Bemstein, il geologo del Geus che si sta occupando del caso, sarebbe avvenuto già altre volte in passato nella stessa area a causa dei cam, biamenti climatici. «Le grandi differen| ze di temperature determinano col tempo delle erosioni negli strati profondi della roccia, provocando smottamenti e frane» spiega Bernstein. Il geologo ricorda come il vecchio insediamento minerario di Qullissat, 150 chilometri più a sud, sia stato distrutto nel 2000 da onde alte trenta metri causate da uno tsunami simile, innescato dal cedimento di un’altra parete sul versante meridionale della penisola di Nuussuaq. «Frane sono state registrate in tutto il fiordo nel corso degli ultimi decenni, e non possiamo sapere se se ne verificheranno altre» conclude Bernstein.
Per prevenire questo genere di incidenti le autorità locali hanno lavorato negli ultimi due anni a una mappatura geologica del fiordo. Ma il rischio resta alto, come conferma il capitano Soren Kjeldsen, che coordina le operazioni di ricerca dei dispersi che il Comando congiunto artico il distaccamento della Marina daneseche presidia la Groenlandia – sta portando avanti senza sosta, nonostante le temperature vicine allo zero e la nebbia non lascino molte speranze, con una motove detta e diversi elicotteri. Perché la frana ha creato una situazione di instabilità che rischia di portare al cedimento di un altro fianco della montagna di pari proporzioni.
«Quella montagna bisognerebbe farla saltare in aria, e lo stesso si dovrebbe fare con tutti i crinali pericolanti» taglia corto al telefono Erik Molle, uno degli sfollati portati a Uummannaq, che vorrebbe tornare nella sua casa di Illorsuit, rimasta illesa perché più in alto rispetto alla costa. Una soluzione peraltro condivisa da molti qui, ma non dalle autorità. «Un’esplosione con trollata potrebbe comportare una serie di rischi imprevedibili, creando nuove aree di instabilità, con ulteriori cedimenti anche a distanza di anni» si legge in una nota ufficiale. Anche perché il fenomeno potrebbe interessare un’area molto più vasta di questa regione remota della Groenlandia nordorientale.
«Lo scioglimento dei ghiacci artici sta generando dei terremoti glaciali» sostiene ad esempio Meredith Nettles, una scienziata del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University di New York, che da anni studia i sommovimenti tellurici del ghiacciaio di Helheim, nel Sud-Est della Groenlandia. «Per farla breve, quando un grande iceberg si stacca da un ghiacciaio cadendo in mare, sospinge quest’ultimo indietro, generando delle scosse di magnitudo anche 4 o 5» spiega. I lastroni di ghiaccio che si sciolgono per il caldo arrivano ad essere lunghi quattro chilometri, e a pesare un miliardo di tonnellate: da qui la loro forza d’urto. Finendo in mare, muovono una massa d’acqua tale da scatenare uno tsunami. Nell’estate 2013, in neanche due mesi, la Nettles e altri suoi colleghi hanno documentato dieci terremoti di questo tipo causati da distacchi di iceberg dal ghiacciaio di Helheim. E la frequenza di questi fenomeni sismici sta crescendo, con l’aumento delle temperature che già oggi porta la Groenlandia a perdere in un anno qualcosa come 378 miliardi di tonnellate di ghiaccio.
Quale che sia l’origine dello tsunami, c’è anche chi è convinto che non ci sia più un futuro nella baia. «Io e mia moglie ne abbiamo parlato» racconta Kristian Nielsen, un altro abitante di Illorsuit costretto a lasciare la sua casa: «E siamo d’accordo che ci trasferiremo a Ilulissat, perché il rischio che una nuova frana travolga tutto è troppo alto». Ilulissat, oltre 200 chilometri più a sud, è una delle mete più ambite del turismo, il paradiso dei viaggi organizzati,con i resort posizionati direttamente davanti agli iceberg galleggianti. Lo sviluppo turistico ha attratto qui già più di 4 mila inuit. A nord invece aree come il fiordo di Uummannaq si stanno rapidamente svuotando. Nel 2010 a Nuugaatsiaq vivevano più di 80 persone: prima del maremoto il loro numero si era quasi dimezzato. Sull’isola non ci sono strade, ci si può spostare solo in barca o slitta. Le uniche infrastrutture sono un eliporto, un generatore elettrico e una cisterna d’acqua. In questo villaggio di casette colorate, a parte una scuola elementare e un’infermeria, un negozio e qualche magazzino, c’è ben poco. I giovani non si riconoscono più nella vita dei loro genitori, basata su un’economia di sussistenza. Un’economia peraltro entrata in crisi con lo scioglimento dei ghiacci che ha ristretto di molto la stagione della caccia e la pesca a foche e balene. Da quando poi la fabbrica ittica della Royal Greenland nel 2011 ha chiuso, i pescatori devono andare a vendere il loro pesce direttamente al porto di Uummannaq, dove è concentrata già più della metà della popolazione locale ( 1.200 persone su 2.200). Prima o poi ancne qui decollerà il turismo. La grande onda di giugno costringerà tanti ventenni ad abbandonare i villaggi e cercare fortuna altrove. Per molti di loro deve essere stata una liberazione.