il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2017
Siae e diritti d’autore, la Grande Guerra è appena cominciata
Una battaglia così non si vedeva dallo scontro tra Uber e i tassisti. Siae contro Soundreef, il monopolio da 796 milioni di fatturato contro la start up basata a Londra che dal mercato italiano ricava appena 2 milioni ma sente di avere tempo e tecnologia dalla propria parte (e punta a 5 milioni nel 2017).
Da un lato l’idea che il sistema di raccolta dei diritti d’autore sia una specie di servizio pubblico che permette la competizione tra artisti e produttori. Dall’altro l’approccio di mercato, quello dei diritti d’autore è soltanto un business da regolare, come le autostrade o l’energia. Filippo Sugar, presidente della Siae e capo dell’etichetta SugarMusic, contro Davide D’Atri, il manager con la passione della musica che ha scommesso sulla liberalizzazione prima della Commissione europea, che solo nel 2014 ha approvato la direttiva Barnier.
Il 14 dicembre 2016 il governo italiano ha approvato uno schema di decreto legislativo per recepirla, che impone trasparenza e puntualità ma conferma alla Siae il monopolio della gestione sul territorio nazionale fissato dalla legge 180 del 1941. Come anticipato dal Fatto, l’Italia rischia una procedura d’infrazione: la Commissione Ue ha chiesto chiarimenti e potrebbe proseguire l’iter (lontano dal concludersi a differenza di quanto scriveva ieri La Stampa).
La polemica tra il rapper Fedez e la famiglia Franceschini Dario, ministro della Cultura, accusato di conflitti di interessi perché la moglie Michela De Biase cura le relazioni esterne di una fondazione culturale legata alla società che gestisce immobili Siae ha oscurato il dibattito in corso.
La Siae ha una lunga lista di argomenti che assomigliano a quelli usati di solito per giustificare i “monopoli naturali” nei settori postali e ferroviari, dove duplicare investimenti, passaggi e pratiche magari riduce i prezzi per gli utenti ma genera caos. La linea del presidente Filippo Sugar è questa: la Siae non ha scopo di lucro, è degli artisti e lavora per gli artisti, soltanto un monopolio che le assicura i ritorni sui grandi artisti (Vasco, Ligabue ecc. ) può giustificare lo sforzo di far pagare i diritti anche in campi meritori ma che valgono spiccioli, dalla lirica al teatro alla musica dal vivo nei piano bar.
Il monopolio aumenta il potere contrattuale della Siae che può trattare con i grandi utilizzatori di musica e video dalla Rai a Netflix tariffe che gli artisti emergenti non potrebbero mai ottenere. E soltanto un “one stop shop”, cioè un unico interlocutore per artisti e utilizzatori di contenuti può evitare di impazzire nel tentativo di dare a ogni titolare di diritti la sua giusta quota (una singola canzone può avere molte persone come autori). La prova dell’efficienza della Siae secondo Sugar: a fronte di un mercato discografico da 238,9 milioni nel 2015, la Siae incassa 472 milioni, mentre l’equivalente tedesco ne incassa 894 su 1178. E con provvigioni più basse, al 15,3 per cento.
Se tutto é perfetto, perché Fedez, Rovazzi e Gigi D’Alessio hanno lasciato Siae per Soundreef? Il fondatore Davide D’Atri ha le sue spiegazioni: maggiore capacità di analisi sapere esattamente chi usa cosa e per quanto, senza ricorrere al meccanismo correttivo delle “ripartizioni supplementari” e pagamenti rapidi. Chi riscuote i diritti tramite Siae incassa sei o 12 mesi dopo l’utilizzo del brano (a meno di anticipi), chi usa Soundreef, assicura D’Atri, grazie a monitoraggi sofisticati ha un rendiconto preciso entro una settimana e i pagamenti in 90 giorni. Vantaggi che per gli artisti sono così importanti da spingerli ad accettare commissioni superiori a quelli Siae: per i concerti dal vivo, per esempio, Soundreef trattiene il 25 per cento contro il 20,8 del “concorrente”.
Fedez si é affidato a Soundreef come autore ma ha mantenuto in Siae la sua etichetta Zedef (quella di Comunisti col Rolex). “Fummo noi a suggerirglielo, così poteva confrontare i due servizi offerti, tra poco porterà anche quella in Soundreef”, spiega Davide D’Atri. È solo un pezzo della guerra legale che si sta scatenando. Soundreef vuole chiedere alla Siae milioni di euro per diritti maturati dai suoi artisti ma non incassati o finiti all’ente guidato da Filippo Sugar. E molti operatori si trovano in un limbo: se diffondono una canzone di Rovazzi e pagano Soundreef violano il monopolio Siae ribadito dal decreto in discussione; se pagano la Siae, l’artista e Soundreef reclameranno il dovuto.
Davide D’atri propone il modello telefonia: la Siae mantiene l’infrastruttura della gestione dei diritti e poi si fa la concorrenza soltanto “sull’ultimo miglio”, quello dei servizi a maggiore valore aggiunto. C’è un problema: se la concorrenza è solo nella parte profittevole, quella che non rende deve essere sussidiata dallo Stato (come per i treni regionali e i postini che consegnano in montagna). “Oggi la Siae non costa un euro al contribuente, sarebbe un miglioramento cominciare a chiedere soldi allo Stato?”, obietta Filippo Sugar. Un dilemma che non si risolverà con il decreto. Lo scontro è appena cominciato.