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 2017  luglio 21 Venerdì calendario

Pechino «sgambetta» i casinò di Macao

Gli autobus del The Venetian, il più sontuoso tra i casinò di Macao, scaricano a ripetizione comitive di turisti cinesi nell’ampia hall tutta foderata di stucchi dorati. L’orda vociante imbocca il lungo corridoio che porta ai controlli, poi alle slot e ai tavoli della roulette e del black jack, scansando i tre bancomat situati a sinistra dell’ingresso principale.
Strano. Per la maggior parte di loro il viaggio “24 ore tutto compreso” è un pretesto per spostare soldi, da Mainland Chinaalla Regione amministrativa speciale (Sar) che ha appena festeggiato i vent’anni dell’handover con la Gran Bretagna: Hong Kong. 
Come? Prelevando dollari di Hong Kong dai bancomat di Macao, il Paradiso mondiale del gioco d’azzardo che l’anno scorso è stato visitato da 30 milioni di persone, di cui 20 da Mainland China, specie dalla vicina Provincia del Guangdong. 
La musica è cambiata. Nel 2016 dai bancomat di Macao sono stati prelevati 10 miliardi di dollari di Hong Kong al mese, costringendo il Governo di Pechino a correre ai ripari e a spiccare il salto di qualità nella lotta alla fuga di capitali e al money laundering finalizzato (anche) al terrorismo. 
Benedetta dalle autorità centrali, la risposta di Macao si chiama operazione “Know your customer”, conosci il tuo cliente. 
È il 3 luglio, giorno dell’entrata in vigore di questa misura che sa di fantascienza: oltre la metà dei bancomat attivi a Macao, 680 su 1.300, sono stati dotati della tecnologia ben illustrata da Minory Report, un film di quindici anni fa, protagonista l’attore Tom Cruise. 
Il paradiso asiatico del gioco d’azzardo attraversa una fase estremamente complicata a causa delle misure adottate contro fuga di capitali e money laundering, sia dal Governo locale sia da quello centrale. 
I clienti si sono magicamente adeguati, tra i tavoli del casinò, alcuni desolatamente vuoti, famiglie in gita, ragazzine in viaggio di piacere, per la prima volta, fuori dalla loro Cina, ben contente di andare in gondola nella replica, davvero impressionante, dei canali veneziani: cielo finto, ma incredibilmente verosimile, ponti, acque limpide e senza i costi di tempo e denaro per andare a visitare Venezia, quella vera. Tanto shopping fatto da gente comune, mentre nessuno si cura dei bancomat, finiti nel mirino dei controlli e sui quali ora sarà più complicato evitare di lasciare impronte.
Quel flusso miliardario di ritiri mensili ha costretto Macao prima a misure supplementari per non far rimanere a secco i cash dispenser, poi, la svolta, concordata con Pechino, per scoraggiare del tutto i prelievi, specie quelli fraudolenti. Per le carte Unionpay rilasciate in Mainland China, a partire dal 3 luglio – fatto singolare anche data di inizio della Bond connect, l’operazione per attirare capitali stranieri sui corporate bond in Mainland China - scatta il temuto riconoscimento facciale che inchioda il cliente alle sue responsabilità.
Lionel Leong Vaitac, capo della segreteria dell’autorità finanziaria di Macao il 26 giugno aveva annunciato l’avvio dell’operazione per identificare l’identità fisica di chi usa il bancomat. Tempo qualche giorno e, prima di autorizzare il prelievo, adesso le macchine sottopongono il cliente all’identificazione facciale. 
Pechino non si fa troppi problemi di privacy, davanti a una fuga così consistente di capitali non basta sapere di chi è il titolare del conto, si vuole anche sapere chi preleva i soldi. 
Sedeva accanto a Xi Jinping, con aria sorniona, il Chief officer di Macao, Fernando Chui San On durante le celebrazioni del 1° luglio. 
I suoi tempi di reazione sono stati rapidissimi, il che fa pensare che “Know your customer” potrebbe sbarcare anche a Hong Kong e convincere la nuova leader Carrie Lam. Le stesse autorità monetarie hanno deciso di agire davanti al fenomeno, sia Macao sia Hong Kong hanno chiesto aiuto alle autorità finanziarie. Facendone una questione di portata nazionale, con una dichiarazione sottoscritta dalla Banca centrale cinese e dall’Hong Kong monetary authority, il 26 maggio scorso, hanno creato a Macao una Financial security expert alliance. A stretto giro, è nata la Fraud and money laundering intelligence task force (Fmlit) per il controllo dei rischi finanziari e la tutela dell’hub finanziario di Hong Kong. E la Polizia locale, titolare della Joint financial intelligence unit è stata, non a caso, tenuta fuori.
Il vice governatore della Banca centrale cinese Yi Gang ha ricordato che ci vogliono tanti soldi per Obor, la One Belt One Road strategy, c’è una domanda molto forte per il project financing. Bisogna reprimere in tempo utile le prassi negative. L’anno scorso una task force globale, la Financial action task force di cui Hong Kong e Macao sono membri ha incontrato, non a caso, la Macau financial security. 
I guadagni del casinò di Hong Kong e Macao a Macao, intanto, accusano i colpi della frenata, a giugno le entrate lorde sono aumentate ma al di sotto delle aspettative, del 25,9% a 2,49 miliardi di dollari, ma la stima era del 30 per cento.
La crescita dei ricavi da gioco è la più alta dal mese di febbraio del 2014 ma riflette la reazione della gaming industry per uscire fuori da un tunnel negativo. Il futuro si prospetta ancora più complicato.
Pechino, inoltre, ha stoppato una serie di tentativi di espansione del gioco in Cina, un tribunale di Shanghai ha condannato 19 funzionari di Crown Resorts per incoraggiamento illegale del gioco d’azzardo. La polizia ha arrestato a Macao 17 sospetti coinvolti in scommesse illegali. I timori di rischi sistemici sono stati più forti delle aspettative di guadagno, il che spiega le misure adottate a Macao e forse a Hong Kong. Dal Giappone all’Australia, nascono, ovviamente, possibilità alternative per gli incalliti giocatori cinesi, una nuova ondata di casinò asiatici, pronti a dare nuova linfa agli affari con una Cina sempre più intransigente. 
Tornando a Pechino via Shenzhen, in coda agli uffici della dogana, un cartello avverte: non si accettano carte di identità cinesi con foto precedenti a interventi di chirurgia estetica, un fenomeno che, in Mainland China, com’è noto, dilaga. Se le autorità non hanno scrupoli per la privacy, nell’era del riconoscimento facciale, figuriamoci quanto conta, per loro, la tutela di chi ha fatto ricorso al bisturi.