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 2017  luglio 21 Venerdì calendario

L’amaca

In merito al rapporto tra l’uso compulsivo del web e l’ansia patologica (vedi Alex Williams su Nyt/ Repubblica di ieri), è legittimo pensare che sentirsi a disposizione del mondo ventiquattr’ore su ventiquattro, nell’obbligo di corrispondere e nella pretesa di essere corrisposti, sia una patologia in sé: a prescindere dall’ansia, che è solamente un effetto secondario. Patologica è l’idea che gli evidenti limiti di tempo e di socialità nei quali ciascuno nasce, vive e muore, siano rimpiazzabili da una onnipresenza impossibile e da una onniscienza inverosimile. Ci si vergogna della modalità off come se fosse una colpa. Come se tacere o rimanere in disparte o non esserci per nessuno fosse una grave mancanza. Eccola, la patologia, precedente il web ma dal web centuplicata: non riuscire a convivere serenamene con i propri limiti, con quei “non ci sono” e quei “non posso” che sono la prima misura di salute e di equilibrio.
Chi si tiene lontano dai social non lo fa per snobismo o per asocialità, ma perché valuta impossibile mantenere una decente qualità di comunicazione dentro quella smodata quantità di contatti. In fin dei conti è una questione di rispetto degli altri, e di stima per se stessi: preferisco dare il meglio a pochi che dare il peggio a molti.