Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  luglio 19 Mercoledì calendario

Patenti, fisco e imprese. Così lo Stato paralizza l’Italia

Prima bisogna andare dal commercialista. Poi si iniziano a compilare moduli, schede e registri. Quindi parte la coda agli sportelli delle Entrate. Si aspetta... Un’ora, due, tre... Ma non basta. Ne devono passare 240... Insomma, una ventina di giorni “normali” e circa una trentina di quelli lavorativi. Serve un mesetto per poter finalmente dire: ho pagato le tasse. È questo, secondo i dati della Banca Mondiale, il tempo che impiega un’impresa in Italia per assolvere ai suoi doveri con il fisco. Peccato che la media per i Paesi sviluppati dell’Ocse sia di 163 ore. 
Oppure. Pensate di dover rinnovare la patente per mettervi alla guida della vostra auto? Bene, se siete in Canada ci vogliono 15 minuti e una cinquantina di euro. Se abitate nel Belpaese dovete aspettare svariati giorni e pagare circa 120 euro. 
E ancora. Avete un’impresa familiare e state pensando di fare il grande passo. Magari volete affidarne la guida a un manager esterno. Uno di quelli laureati in Bocconi, che vanta nel curriculum un Mba e diverse esperienze internazionali. Ma poi iniziate a dubitare: e se litighiamo? Se entriamo in contrasto su decisioni vitali per il futuro dell’azienda? Beh, c’è la giustizia. È lì apposta per stabilire torti e ragione. Insomma. Anche se un giudice decidesse che il grande professionista vi sta remando contro, in media, sempre secondo il progetto comparativo della Banca Mondiale Doing Business (http://www. doingbusiness.org), bisognerebbe aspettare non meno di tre anni per avere una sentenza favorevole. Peccato che la media Ocse sia di un anno e mezzo. 
Cittadini, imprese, lavoro. Con gli esempi si potrebbe continuare all’infinito. Ma il filo conduttore è sempre lo stesso: la mala Pubblica amministrazione che tarpa le ali alla crescita dell’economia. «Se si pensa spiega Mirco Tonin, professore di politica economica all’Università di Bolzano che lo Stato intermedia settori chiave per la vita del Paese (educazione, sanità, sicurezza ecc.) che valgono il 35-40% dell’economia, si capisce quale può essere il peso dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione anche sul privato...». Il difetto peggiore? «Se vivo in un sistema che tende a premiare più le relazioni che non il merito, alla fine tutti quelli che vi entrano (dai giovani ai dirigenti) tenderanno a impiegare il loro tempo più a curare “contatti” e amicizie che non a studiare e a migliorare. E da lì si crea un circolo vizioso difficile da fermare». 
Un’analisi che viene confermata dai recenti dati dell’International Civil Service Effectiveness (InCiSe) della scuola di amministrazione pubblica dell’Università di Oxford. Nella comparazione tra 31 Paesi (22 europei) l’Italia finisce al 27esimo posto. In una classifica che va da zero a cento, noi ci fermiamo a 20, contro la media che raggiunge invece quota 60. 
Siamo indietro, su molti parametri, ma non su tutti. Per dire, ci becchiamo uno sconfortante zero in quanto a “capacità” (Capabilities). Cioè, se chiediamo a un lavoratore della nostra Pa di leggere un testo (si intende la comprensione di un concetto complesso), di analizzare dei numeri (percentuali, database ecc) o di risolvere un problema (problem solving) i risultati saranno imbarazzanti. 
Miglioriamo un po’ in quanto a integrità, ma neanche tanto. Perché siamo a quota 18, ben sotto la media degli altri Paesi. Ma che i nostri dipendenti pubblici avessero una diffusa percezione di vivere in un ambiente corrotto non può risultare una sorpresa per nessuno. Così come non meraviglia che il nostro sistema fiscale sia poco amichevole verso i cittadini. È un dato oggettivo. 
Poi c’è il capitolo della gestione fiscale e finanziaria (Fiscal and financial management). Come siamo messi? Risposta: male. Chi lavora nello Stato italiano ha scarsa capacità di gestione e manca di visione nel medio e lungo periodo. Cosa vuola dire? Semplice, che non siamo capaci (o meglio, non vogliamo) monitorare e misurare i risultati di quello che facciamo. «Basti pensare spiega il professor Tonin al bonus bebè o ai tanti provvedimenti che dovrebbero migliorarci la vita. Al momento dell’annuncio è tutto un evidenziare le virtù e i vantaggi della nuova normativa, poi la misura finisce nel dimenticatoio e nessuno guarda ai risultati concreti e a eventuali correzioni da apportare. C’è una sorta di tolleranza verso il fallimento perché abbiamo paura di ammettere che qualcosa non funziona». 
A pensarci bene è proprio così.